Procedura di Valutazione comparativa ad un posto di Professore Ordinario presso la Facolta' di SCIENZE MANAGERIALI
Settore L-LIN/10, Gazzetta UFFICIALE  n. 54  del 11/07/2008.

                                                                        

        
VERBALE N. 3

 

Il giorno 17/11/2010 alle ore 9.30, presso i locali del Dipartimento di Scienze Linguistiche e Letterarie dell’Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara, ha avuto luogo la terza riunione della Commissione costituita per il concorso di cui in premessa.

 

La Commissione, composta dai seguenti  professori:

 

Prof. Francesco MARRONI − Presidente

Prof. Mariangela TEMPERA – Membro eletto

Prof. Anna Maria SPORTELLI LIPPOLIS – Membro eletto

Prof. Daniela GUARDAMAGNA – Membro eletto

Prof. Vito CAVONE − Segretario

 

risulta presente al completo e pertanto la seduta è valida.

           

Ogni Commissario, dopo attenta analisi del profilo curricolare, dei titoli e delle pubblicazioni procede alla formulazione di un giudizio individuale per ogni candidato, a cui, dopo ampia e approfondita discussione, la Commissione fa seguire la formulazione di un giudizio collegiale sintetico e conclusivo per ciascun candidato.

 

 

Candidata Mariaconcetta Costantini

 

Giudizi individuali:

 

Giudizio del Prof. Francesco marroni:

 

La produzione scientifica di Mariaconcetta Costantini  si caratterizza per la sua estrema coerenza  rispetto a due aree di ricerca molto ben individuate: la letteratura vittoriana e la letteratura postcoloniale. In una prima fase del suo lavoro, la candidata ha privilegiato la poesia vittoriana, pervenendo all’ampia monografia Poesia e sovversione (2000), in cui è presa in considerazione l’opera poetica, rispettivamente, di Christina Rossetti e Gerard Manley Hopkins. Muovendosi su un piano comparativo efficacemente articolato, Costantini dimostra come i due poeti incarnino in modo significativo i dubbi e i dilemmi della società vittoriana e, per tale ragione, come entrambi costituiscano, in una scrittura pervasa da codici religiosi e  codici  secolari,  un territorio ideologicamente eterodosso che, sottraendosi alla mera definizione di poesia religiosa, risulta di difficile classificazione rispetto al panorama letterario dell’epoca. Sulla base di convincenti e serrate investigazioni testuali, viene definito lo spazio occupato dalla sperimentazione nel lavoro dei due poeti, di cui si  determinano le rispettive collocazioni nel loro confronto con le sollecitazioni epistemologiche e con il novum proprio dei discorsi scientifici dell’epoca. Si tratta di uno studio di indubbia originalità che la candidata produce dopo una serie di lavori dedicati alla poesia vittoriana che, sul piano della ricerca, ha modo di verificare metodo e contenuti, secondo una linea di rigorosa e mai semplicistica attenzione alla dialettica testo/contesto. Insieme al volume antologico Victorian Poetry (1999), fra i saggi che anticipano Poesia e sovversione meritano una menzione particolare per lucidità critica “Hopkins and the scientific dilemma” (1997), “Christina Rossetti e la poesia religiosa vittoriana” (1997) nonché due densi articoli sul Thomas Hardy poeta (1995, 1996). Coerentemente, Costantini ha continuato negli anni successivi la sua ricerca sulla poesia vittoriana presentando relazioni in importanti convegni e pubblicando saggi originali e di notevole maturità critica su riviste di prestigio (Atlantic Critical Review, Hopkins Quarterly, Thomas Hardy Journal, ecc.) e in pubblicazioni internazionali (2001, 2002, 2004, 2005, 2007).

            A parte l’ambito poetico, la ricerca sul periodo vittoriano è contrassegnata da una più ampia prospettiva ermeneutica che prende in considerazione la narrativa e altri generi letterari, senza escludere le tensioni testuali derivanti dalle ibridazioni generiche.  Di particolare rilievo i saggi su scrittori quali Dickens, Elizabeth Gaskell, Wilkie Collins e R. L. Stevenson, nei quali Costantini rivela chiarezza dell’esposizione, solidità di formazione e un metodo di analisi molto raffinato. Il suo lavoro segue anche una linea di ricerca incentrata sul gotico ottocentesco – da Mary Shelley fino a Richard Marsh – che ha trovato costante motivo di confronto nella partecipazione a convegni internazionali e a volumi collettanei. Con la  monografia Venturing into Unknown Waters: Wilkie Collins and the Challenge of Modernity (2008), il coerente percorso di ricerca della candidata produce un contributo fondamentale nell’ambito degli studi collinsiani. Per la prima volta, viene proposta  una lettura del corpus narrativo del tutto originale, cioè  Wilkie Collins come espressione di un sentire moderno e relativistico, lontano dalla semplice definizione sensazionalistica e da interpretazioni riduttivamente formulaiche. Di qui l’analisi della narrativa collinsiana attraverso la metafora della navigazione che, quale vero e proprio locus di strutturalità semantico-immaginativa, si dà anche come paradigma intorno al quale si costituisce quella che è definita “deriva dell’essere”. Lavoro di matura riflessione critica, innovativo nel metodo e nell’argomentazione rispetto alla tradizione critica, Costantini raggiunge tali eccellenti risultati dopo la pubblicazione di alcuni saggi molto importanti sull’opera di Collins. In particolare, “From the Gothic Chamber to the Bloody Lab” (Atlantic Critical Review, 2003),  “The Refined Villainess” (University of Bucharest Review, 2005), “The Lure of The Frozen Deep” (RSV, 2006),  “A Land of Angels with Stilettos” (Wilkie Collins Society Journal, 2007).

            La candidata è anche autrice dello studio Behind the Mask (2002) che, dedicato alla narrativa di Ben Okri, rientra nella linea di ricerca focalizzata sugli studi postcoloniali. Rispondendo a talune ipotesi incentrate sull’auto-revisionismo proprio delle nuove voci del romanzo postcoloniale, Costantini propone una lettura nuova della scrittura okriana. Nell’interpretazione della candidata, l’opera okriana si struttura  facendo leva sulla riscoperta di radici comuni – sia sul piano immaginativo, sia sul piano più complesso e articolato del mito – nell’arte africana e quella europea. Ne deriva un macrotesto narrativo che, nel momento in cui si colloca al di là del discorso politico e della formula anticoloniale, riesce a ritagliarsi uno spazio dialogico che rinvia alla grande tradizione del canone occidentale, a partire dal romanticismo fino alle mitologie e ai modelli letterari del postmoderno. Oltre ad avere pubblicato importanti articoli sull’opera di Okri e sul romanzo africano, Costantini ha scritto stimolanti lavori su Angela Carter, Sarah Waters e altri autori contemporanei. Anche in questo ambito della sua ricerca risulta evidente come  l’analisi del testo letterario non sia considerato un processo di disambiguazione semplice, ma al contrario un lavoro in cui metodologia e approfondimento critico vanno sottoposti a continua verifica nel vivo del testo.

            Nel complesso, le pubblicazioni di Mariaconcetta Costantini delineano il quadro di una ricerca ricca e articolata che, sviluppandosi senza discontinuità  in un ampio arco di tempo, testimoniano la sua maturità critica. Condotta con estrema coerenza, limpidezza di scrittura e solidità di impianto metodologico, la ricerca ha prodotto risultati di assoluto rilievo internazionale, che confermano la piena idoneità della candidata a ricoprire un posto di prima fascia per il settore scientifico-disciplinare per il quale la valutazione comparativa è stata bandita.

 

Giudizio della Prof. MARIANGELA TEMPERA:

 

Laureata presso l’Università di Pescara nel 1990, MARIACONCETTA COSTANTINI ha conseguito il dottorato di ricerca nel  2000. E’ Professore Associato di Letteratura Inglese presso l’Università di Chieti-Pescara dal 2001. E’ nel comitato di redazione e scientifico di riviste anche a livello internazionale (Gothic Studies, The Hopkins Quarterly, Merope, ecc.). Ha svolto un’intensa attività didattica e ha ricoperto diversi ruoli istituzionali. E’ membro dell’Executive Board dell’ International Gothic Association.

Ha dedicato un elevato numero di studi critici alla letteratura dell’epoca vittoriana e al suo influsso sulla letteratura del Novecento. I suoi lavori hanno trovato collocazione anche in volumi e riviste straniere: Victorian Poetry (Winter 2008) per un saggio su Hopkins, Critical Survey (2006) per un saggio su “Faux-Victorian Melodrama”, Gothic Studies (May 2002) per “Reconfiguring the Gothic Body in Postmodern Times”. I suoi saggi su Wilkie Collins sono stati rielaborati all’interno di un elegante studio monografico dedicato a quest’autore: Venturing into Unknown Waters (2008). Il suo più approfondito e originale contributo agli studi vittoriani è rappresentato dal volume Poesia e sovversione (2000). Un secondo filone di ricerca è rappresentato dalla letteratura africana anglofona con saggi su Chinua Achebe (“Nella foresta degli igbo”, 1995 e “La trilogia di Chinua Achebe”, 1999) e diversi saggi e una biografia, di carattere più divulgativo, di Ben Okri (2002).

La candidata è una studiosa originale, produttiva e pienamente matura.

 

Giudizio della  Prof.  ANNAMARIA SPORTELLI LIPPOLIS:

 

Il profilo didattico e scientifico della Prof. Mariaconcetta Costantini è caratterizzato da un’intensa e costante attività, che si è articolata in diverse direzioni. Sul piano dell’impegno didattico, la prof. Costantini ha tenuto numerosi insegnamenti di Letteratura Inglese sia per i Corsi di Laurea Triennali, sia per i Corsi di Laurea Specialistica, oltre che in molteplici altri ambiti (Scuola Superiore di Dottorato di Ricerca, SSIS, D.U.T.I., Master di Anglistica, ed altri). La produzione scientifica della prof. Costantini è copiosa, costante sotto il profilo della continuità temporale, improntata ad una scrupolosa riflessione sui testi oggetto di indagine e sui sistemi culturali di appartenenza, e di respiro internazionale. Vittorianista per formazione, la prof. Costantini ha saputo espandere e diversificare i suoi interessi di ricerca, fino ad includere nel suo percorso lo spazio della contemporaneità; esemplare di tale interesse è l’attenzione critica rivolta ad Angela Carter, ma anche, e particolarmente, a voci dalle nuove letterature di lingua inglese, come lo scrittore nigeriano Ben Okri (2002), cui la candidata dedica un corposo studio monografico, mirato ad esplorare i fondamenti della sua poetica, in cui la funzione centrale dell’artista nella comunità e il suo conseguente ruolo fondante nel suo percorso identitario segnano il profilo di riflessione metatestuale che caratterizza molta della sua narrativa, e sono l’oggetto dell’esame attento e accurato della studiosa.

Apparso nel 2008 per le edizioni Tracce di Pescara, Venturing into Unknown Waters: Wilkie Collins and the Challenge of Modernity rappresenta invece lo studio monografico più recente nel percorso di ricerca della prof. Costantini, e si offre al lettore come un volume estremamente compatto e coerente, frutto di un lavoro di anni, testimoniato da numerosi altri saggi, in cui l’attento sguardo critico esamina l’esperienza intellettuale e artistica di una figura difficilmente catalogabile, quale quella di Wilkie Collins, investigando i termini  della sua appartenenza alla temperie vittoriana, e rilevandone programmaticamente quegli elementi di dissonanza che lo avvicinano invece in modo sottile e profondo ai modelli e alla percezione del mondo che identificano la modernità e il suo disagio.

Attraverso la lente del macrotesto collinsiano, assunto come oggetto d’indagine privilegiato e come obliquo strumento di interpretazione del più ampio contesto culturale nel quale esso fu prodotto, la studiosa rintraccia nitidamente le coordinate complesse e contraddittorie che articolano la inquieta plurivocità dell’età vittoriana. Entrano così in dialogo, nella prima parte dello studio, accomunati dall’isotopia del mare e dalla imagery legata a tale figura dall’altissimo potenziale simbolico, i racconti di Household Words, così come gli altri luoghi letterari della celebre collaborazione fra Collins e Dickens, nonchè le esperienze di scrittura successive, in cui dapprima si profila e poi si rinforza la posizione eccentrica di Collins, mentre la  relazione fra i due scrittori diviene quasi paradigma della problematica, a volte dissacrante collocazione di Collins nel suo tempo; a titolo puramente esemplare, si segnala la fine analisi che la studiosa compie del racconto a quattro mani “The Perils of Certain English Prisoners,” apparso su HW del dicembre 1857, e in cui il profilo ideologico del contributo di Collins – un capitolo su tre – non solo ne marca il distacco dalle posizioni conservatrici di Dickens in tema di racial/class politics, ma ne articola la sottile sovversione anche in termini formali.

Accanto ai due studi sopra citati, si segnala l’altro importante studio monografico, più distante nel tempo (1999), dedicato alla poesia di Christina Rossetti e Gerard Manley Hopkins, di cui vengono esplorati in parallelo la ricerca estetica e il percorso conoscitivo-spirituale.

Fra le curatele,si segnalano il volume La letteratura vittoriana e i mezzi di trasporto: dalla nave all’astronave (co-ed. F. Marroni, R. D’Agnillo, 2006) e il numero doppio della rivista Merope (co-ed. J. Woolford, 35-36: 2002) dedicato a Victorian Landscapes che testimoniano della sua attività di coordinazione  e della sua partecipazione  a gruppi di ricerca nazionali ed internazionali. Corposa anche l’attività della studiosa come traduttrice e curatrice, di Elizabeth Gaskell, Charles Dickens, Ben Okri, testi sempre introdotti e annotati. Considerevole è anche il suo impegno in attività redazionali: si segnalano il suo ruolo di condirettore della rivista Merope, la sua presenza in comitati scientifici e di redazione di diverse riviste internazionali. Nel complesso la produzione scientifica della candidata si pone in tutta la sua eccellenza e pertanto ella risulta pienamente matura per il ruolo della presente valutazione comparativa.

 

Giudizio della  Prof.  DANIELA GUARDAMAGNA:

 

La produzione di Mariaconcetta Costantini è assai vasta e articolata, e si muove a livello nazionale e internazionale; le due principali linee di ricerca sono rivolte al periodo vittoriano e alle letterature post-coloniali, in particolare quella nigeriana, dove spicca il volume dedicato a Ben Okri.

Alla prima linea di ricerca si possono far risalire vari volumi e articoli. Innanzi tutto la bella monografia su Hopkins e Rossetti (Poesia e sovversione. Christina Rossetti, Gerard Manley Hopkins, Pescara 2000), dove è prevalente l’accento sull’aspetto del dialogo – del poeta più giovane con la poetessa più anziana, ma anche di aspetti dialetticamente complementari della produzione e visione del mondo dei due poeti, in particolare la relazione complessa e problematica tra razionalità e fede.

Interessante anche il volume su Wilkie Collins (Venturing into Unknown Waters: Wilkie Collins and the Challenge of Modernity, Pescara 2008) basato, come la maggioranza delle opere di Costantini sul vittorianesimo, su una lettura “fluida” (non solo in senso baumanniano) del periodo, di cui l’autrice mette in risalto la complessità non univoca o monolitica, ma appunto dialogica e porosa. Viene presa in esame la lunga collaborazione di Collins con Dickens, dal quale lo separa una visione politica e sociale meno ortodossa; l’opera di Collins è letta attraverso una serie di griglie, le metafore nautiche delle narrazioni marinare nella prima parte, poi il suo rapporto con l’alterità ad esempio razziale e con la disability. In questo testo, come anche nel volume su Ben Okri, Costantini si libera a mio avviso felicemente da una utile ma inizialmente un po’ troppo insistita terminologia di tipo teorico, giungendo a una scrittura critica più libera ed elegante.

Entrambi i volumi di cui abbiamo  detto, come Costantini dichiara nelle note introduttive, sono stati preparati da vari saggi pubblicati in Italia e all’estero: si vedano gli scritti su Collins apparsi sulla Atlantic Critical Review (2003), su Englishes (2004), su Rivista di Studi Vittoriani (2006), nel volume (curato dalla candidata con D’Agnillo e Marroni) La letteratura vittoriana e i mezzi di trasporto: dalla nave all’astronave (Roma 2006), e i molti saggi su Christina Rossetti e/o Hopkins pubblicati sulla Hopkins Quarterly (2001), nel Festschrift in onore di Mohit K. Ray (Widening Horizons, New Delhi 2005), nei volumi Before Life and After (Pescara 2000), Il punto su Christina Rossetti (Pescara, 1997), ancora su RSV (1997), in Outsiders Looking in. The Rossettis then and now (London, Anthem Press, 2004) e su varie altre riviste.  Meritano una citazione a parte gli articoli “‘Striding High There’: Hopkins’ Poetic Achievements” (in Hopkins Variations, Philadelphia 2002), e “‘Coping with Chaos’: A Reading of Macbeth and ‘The Windhover’” (2002) in cui si analizzano in modo convincente gli echi shakespeariani, in particolare le immagini di disordine innaturale, presenti in Hopkins.

Alla linea di ricerca dedicata al vittorianesimo si devono far risalire anche la curatela del numero doppio di Merope dedicato ai Victorian Landscapes, con John Woolford (2002), a cui Costantini contribuisce anche con  un saggio su Stevenson, e il volume sulla poesia vittoriana Victorian Poetry, con Nicola De Marco (Milano 1999) in cui Costantini si occupa ancora di Hopkins, Rossetti e di Thomas Hardy.

A Ben Okri e alla narrativa nigeriana, come si diceva, sono dedicati vari saggi pubblicati in Italia e all’estero, e il volume Behind the Mask. A Study of Ben Okri’s Fiction (Roma, Carocci 2002),  dove – sulla scorta di alcune dichiarazioni dell’autore – si discute l’etichetta di realismo magico e si analizzano tre fasi della scrittura di Okri, quella dei racconti, quella dei Künstlerromane e quella della trilogia pubblicata negli anni ’90 (The Famished Road, Songs of Enchantment e Infinite Riches) in cui i momenti metanarrativi sono giustamente individuati come centrali all’espressione della sua poetica.

Vanno segnalate anche due edizioni di testi con traduzione e introduzione o postfazione, Elisabeth Gaskell. Storia di un signorotto di campagna e altri racconti (Napoli 1966) e Charles Dickens, I racconti del soprannaturale, Chieti 1995.

Tra i molti altri articoli e recensioni (più di cinquanta), oltre a quelli che si muovono nei due ambiti di ricerca che abbiamo individuato segnaleremo il saggio su Hardy pubblicato sul Thomas Hardy Journal (2001), l’interessante articolo sul romanzo tardo-gotico The Beetle di Richard Marsh (Heidelberg 2006), i vari articoli dedicati a Elizabeth Gaskell (su The Gaskell Society Journal e nel volume Elizabeth Gaskell, Text and Context, Pescara 1999), e alcuni articoli ‘novecenteschi’, tre dedicati ad Angela Carter e uno a Raymond Carver, sempre molto precisi e informati.

La ricca, articolata e perspicua produzione della candidata la identifica come studiosa dalla raggiunta piena maturità critica e scientifica.

 

Giudizio del  Prof.   VITO CAVONE:

 

            La prof. Costantini è autrice di tre importanti  volumi monografici, di cui due (Poesia e sovversione. Christina Rossetti, Gerard Manley Hopkins, 2000; Venturing into Unknown Waters: Wilkie Collins and the Challenge of Modernity, 2008) vertono su autori vittoriani appartenenti alla produzione mainstream, e il terzo (Behind the Mask. A Study of Ben Okri’s Fiction 2002) si occupa dello scrittore nigeriano nell’ambito della letteratura postcoloniale.

Questi ( il romanzo  e la poesia vittoriani e il romanzo postcoloniale) rimangono gli ambiti in cui si sviluppano gli interessi e la ricerca della candidata, che si articola in una copiosa e puntuale produzione di oltre 50 saggi, che nel settore vittoriano prendono in esame altri autori come M. Shelley, Dickens, Gaskell, Stevenson, Hardy ed altri minori; e nel campo postcoloniale inglobano l’altro romanziere nigeriano Chinua Achebe  e lo scrittore anglo-indo-pakistano S. Rushdie. Ciò non impedisce incursioni nella narrativa moderna (Angela Carter), la poesia moderna (Charles Tomlinson) e la narrativa americana (Wharton, Carver).

Si evidenziano anche interessi traduttologici, sia sul piano teorico, sia su quello pratico come dimostrano le belle traduzioni di Gaskell, Dickens e Okri, complete di introduzione/postfazione, oltre alla curatela di due volumi.

            La produzione della candidata Costantini rivela nella sua varietà e vastità una costante coerenza critica ed una raggiunta maturità.

 

Giudizio collegiale:

 

Gli interessi scientifici di Mariaconcetta Costantini si focalizzano su due precise aree di ricerca, la letteratura vittoriana e la letteratura dei paesi di lingua inglese, su cui si articola una produzione di alto livello, sul piano sia nazionale  che internazionale. In ambito vittoriano, si collocano le monografie Poesia e sovversione: Christina Rossetti e Gerard Manley Hopkins (2000) e Venturing into Unknown Waters: Wilkie Collins and the Challenge of Modernity (2008).  Il lavoro su Rossetti e Hopkins  è un contributo approfondito e originale che, ponendo l’accento sull’aspetto dialogico,  fa risaltare come i due poeti incarnino in modo significativo i dubbi e i dilemmi della società vittoriana. Si tratta di uno studio di indubbia originalità a cui la candidata perviene dopo una serie di lavori dedicati alla poesia vittoriana, che sul piano della ricerca ha modo di verificare metodi e contenuti, secondo una linea di rigorosa e mai semplicistica attenzione alla dialettica testo/contesto. Il volume su Collins è una lettura fluida (non solo in senso baumanniano) del periodo, di cui la candidata mette in risalto la complessità non univoca ma, appunto, dialogica e “porosa”. In ambito postcoloniale s’inscrive la monografia Behind the Mask (2002) che, dedicata alla narrativa di Ben Okri, ne analizza le tre fasi: quella dei racconti, dei Künstlerromane e della trilogia degli anni novanta (The Famished Road, Songs of Enchantment e Infinite Riches). Si tratta di un corposo studio monografico mirato ad esplorare i fondamenti della poetica di Okri, in cui la funzione centrale dell’artista nella comunità e il conseguente ruolo fondante nel suo percorso identitario segnano il profilo di riflessione metatestuale che caratterizza molta della sua narrativa. Nelle due aree privilegiate di indagine della candidata si sviluppa la sua ricerca attraverso una copiosa e puntuale produzione di oltre cinquanta saggi tra cui, di particolare rilievo, gli studi su scrittori quali Dickens, Elizabeth Gaskell, Wilkie Collins e R. L. Stevenson, nei quali Costantini rivela chiarezza dell’esposizione, solidità di formazione e un metodo di analisi molto raffinato. Il lavoro della candidata segue anche una linea di ricerca incentrata sul gotico ottocentesco – da Mary Shelley fino a Richard Marsh – che ha trovato costante motivo di confronto nella partecipazione a convegni internazionali e a volumi collettanei. Nel campo postcoloniale viene affrontato un altro romanziere nigeriano, Chinua Achebe, e lo scrittore anglo-indo-pakistano Salman Rushdie con pregevoli risultati. Nel complesso, le pubblicazioni di Mariaconcetta Costantini delineano il quadro di una ricerca vasta e approfondita, sempre condotta con piena maturità critica ed  estrema coerenza, con risultati che la collocano ad un livello di assoluto rilievo nel panorama degli studi anglistici.

La candidata mostra, pertanto, la piena idoneità a ricoprire un posto di prima fascia per la presente valutazione comparativa.

 

           

Candidato  NICOLA DE MARCO

 

Giudizi individuali:

 

Giudizio del Prof. FRANCESCO MARRONI:

 

Nel suo percorso di ricerca, il candidato Nicola De Marco presenta due aree  in cui, con maggiore continuità, ha prodotto lavori che possono essere considerati un significativo contributo alla disciplina: letteratura vittoriana e modernismo.  Dopo un primo saggio di esordio su Middlemarch (1978), si distinguono per coerenza metodologica e analisi testuale l’articolo “Browning, Shelley  and the Keatsian Concept of Negative Capability” (1996), un saggio molto ben scritto e documentato su The Egoist di Meredith (1996) nonché uno studio comparativo su Christina Rossetti e Browning (1997). Si tratta di una linea di ricerca che segna un momento importante con la monografia su The Ring and The Book di Browning (2002) che, dal punto di vista della preparazione, può essere considerato uno studio di piena maturità critica. Sulla base della critica neostoricista, e senza omettere l’intervento cooperativo di altri apporti metodologici, il volume si struttura attorno alle “linguistic approximations of truth” e alla funzionalità epistemologica del monologo drammatico, pervenendo a risultati di indubbia originalità. Sui temi della poesia vittoriana va segnalata anche l’antologia Victorian Poetry (1999), che è una ulteriore testimonianza della continuità della sua ricerca nell’ambito degli studi vittoriani.

            In parte raccordando gli studi sulla poesia vittoriana alla sua ricerca sul modernismo (si veda il nesso Browning/Joyce), De Marco presenta la monografia Liberty and Bread: The Problem of Perception in Conrad (1991), in cui l’analisi del romanzo Under Western Eyes viene condotta attraverso la lettura serrata dei singoli movimenti testuali, offrendo un quadro ermeneuticamente molto convincente delle oscillazioni sia delle coscienze dei protagonisti, sia del linguaggio che attualizza i dati della percezione. Più recentemente, il candidato ho prodotto anche un denso saggio sullo Ulysses di Joyce (2007) e la monografia The Early Joyce and the Writing of “Exiles” (2008). In particolare, quest’ultimo lavoro si distingue per originalità di approccio, ricchezza della documentazione e unitarietà del discorso critico intorno al tema dell’artista e del suo movimento verso la maturità. Da questa angolazione, il candidato considera Exiles un testo cruciale per comprendere la tematica relativa alla definizione di sé e quindi anche alla formazione artistica nel contesto dell’intera opera joyciana. Strutturato secondo una chiara linea argomentativa, il volume rivela solida metodologica, chiarezza espositiva e capacità di lavorare con esiti ragguardevoli anche su un territorio molto frequentato quale l’opera di Joyce. De Marco è anche autore di un’acuta analisi di The Salterton Trilogy (1996) di Robertson Davies, in parte annunciata da precedenti saggi (1989, 1995), che, in prospettiva junghiana,  trattano con molta competenza aspetti dell’opera del narratore canadese. Non meno importanti due articoli su John Bunyan (1997, 1999), che mostrano l’intersecarsi criticamente produttivo degli interessi di De Marco che, nelle varie sfaccettature della sua ricerca, mette in evidenza rigore critico e positiva versatilità.

            Considerate nell’ampiezza del percorso critico, le pubblicazioni di De Marco mostrano uno studioso che ha raggiunto la piena maturità e, ai fini della valutazione comparativa in argomento, confermano l’idoneità del candidato a ricoprire un posto di prima fascia per il settore scientifico-disciplinare L-LIN/10.

 

Giudizio della Prof. MARIANGELA TEMPERA:

 

Laureato nel 1978 all’Università di Carleton, Ottawa, NICOLA DE MARCO è Professore Associato di Lingua e Letteratura Inglese presso l’Università di Chieti-Pescara dal 1998. Ha svolto in forma continuativa attività didattica nei settori L-LIN 10 e L-LIN-12. Ha ricoperto numerosi incarichi istituzionali. Ha partecipato a gruppi di ricerca nazionali (CNR, 40%) e locali (ex 60%). Fa parte del Comitato di redazione della Rivista di Studi Vittoriani.

La produzione scientifica del candidato comprende, fra gli altri: un incisivo saggio su Bunyan Studies (1998), una serie di saggi di taglio divulgativo su autori dell’Ottocento (“Semantic Tangles and the Generation of Narrative Structure in Northanger Abbey”, 1994, è il più approfondito). Uno studio monografico su Joseph Conrad, Liberty and Bread (1991) alterna incisivi commenti al testo a pagine più inutilmente riassuntive. Il suo studio su The Salterton Trilogy of Robertson Davies (1996) costituisce una buona introduzione all’opera dello scrittore canadese. A James Joyce ha dedicato un acuto saggio, “ ‘Oxen of the Sun’ and the Gestation of the Word” (2007) apparso su un volume collettaneo della UP of Florida e una monografia, The Early Joyce and the Writing of ‘Exiles’ (2008), ben documentato ma scarsamente originale. Il suo contributo monografico più importante all’anglistica è Robert Browning’s ‘The Ring and the Book’: A Critical Appraisal, un lavoro in cui getta le basi per un’interessante rilettura del testo che però non trova piena elaborazione nel volume.

Il candidato è uno studioso promettente che deve ancora trovare una voce critica completamente autonoma.

 

Giudizio della  Prof.  ANNAMARIA SPORTELLI LIPPOLIS:

 

La produzione scientifica del candidato Nicola De Marco si articola in più filoni di indagine che coprono l’arco temporale 1991-2008. E’ del 1991 il suo primo lavoro monografico Liberty and Bread. Problems of perception in Conrad. A critical study of Under Western Eyes, caratterizzato da una scrittura descrittivo-constativa che toglie pregnanza  a molti luoghi dello studio. La cifra proposta per una lettura di Under Western Eyes risiede nell’esplorazione dell’ingannevole percezione e nella unreliability di una lettura solo “retinica” della realtà, problematica  che coinvolge naturalmente  anche la prospettiva autoriale e la sua frizione  con la prospettiva del narratore. La lezione di Northrop Frye informa l’assunto di fondo dello studio sulla trilogia di Robertson Davies (The Salterton Trilogy, formata dai romanzi Tempest-Tost, Leaven of Malice e A Mixture of Frailties), assunto che permette allo studioso di porre Davies nel solco della satira di matrice anglosassone da Burton a Waugh. L’analisi coerentemente ne individua inoltre i cores narrativi, vere matrici generative della narrazione, The Tempest di Tempest-Tost, The Book of the Common Prayer per The Leaven of Malice e la frizione fra afflato religioso e coscienza individuale in A Mixture of Frailties. Il contrappunto fra The Yellow Book  e la dimensione epico- narrativa è alla base dello studio su Browning dal titolo Robert Browning’s The Ring and the Book. A Critical Appraisal. Il volume si snoda in due macrosezioni in cui le problematiche storiografiche poste dal testo di Browning e le relazioni con le fonti, ben si coniugano con l’approccio new historical utilizzato dallo studioso, mentre la seconda macrosezione opportunamente indaga il testo e la sua presupposizione di verità per chiudersi con l’appello alla ‘poetic experience’ del lettore, luogo ultimo di testualizzazione dell’opera. Al controverso testo drammatico del primo Joyce è dedicata l’ultima parte dello studio monografico del 2008. Il nodo biografico, che in maniera diretta o obliqua appare nel primo Joyce, è indagato in maniera puntuale e utilmente l’autore introduce sia i primi esperimenti che hanno portato alla scrittura di A Portrait, sia all’unico esperimento drammatico dello scrittore. Si segnalano inoltre, oltre ai saggi preparatori ai volumi, come ad esempio “What’s Bred in the Bone: Robertson Davies’s artistic Transmutation of C.G. Jung’s Concept of Individuation” e “Robertson Davies’s Tempest Tost - ‘a kind of play without theatre’”, altri contributi nell’ambito della letteratura irlandese e della letteratura romantica inglese. I volumi intesi all’insegnamento della lingua inglese e francese e relativi ai linguaggi specialistici non possono essere valutati in quanto non congruenti con il settore scientifico disciplinare per cui il candidato concorre.

Nel complesso la produzione presentata, pur copiosa, non raggiunge i livelli di eccellenza attesi.

 

Giudizio della  Prof.  DANIELA GUARDAMAGNA:

 

La produzione di Nicola (Nick) De Marco non sembra evidenziare precise linee di continuità; le sue quattro concise monografie, non prive di meriti e spesso ben scritte, sono dedicate a un autore minore contemporaneo, il critico-attore-romanziere Robertson Davies, al poemetto di Browning The Ring and the Book, al primo Joyce e al Conrad di Under Western Eyes.

Il volume d’esordio, Liberty and Bread: The problem of perception in Conrad. A critical study of ‘Undern Western Eyes’ (Chieti 1991) indaga il complesso romanzo conradiano con convincenti ipotesi interpretative, in particolare la unreliability del narratore, l’ispirazione dostoevskiana (nella convincente analogia tra Haldin e il Cristo dei Karamazov) e il turbato interesse, in Conrad, per l’inevitabilità del tradimento e del fraintendimento della realtà. In questo testo, dotato di un certo spessore critico, De Marco non ha ancora sviluppato il gradevole stile delle opere successive, e la sua scrittura risulta a tratti troppo irta e autoreferenziale.

La seconda monografia (The Salterton Trilogy of Robertson Davies, Pescara 1996) analizza in dettaglio la figura pubblica dell’autore e i tre romanzi che compongono la trilogia in questione, Tempest-Tost, Leaven of Malice e A Mixture of Frailties, indugiando talvolta troppo lungamente sulla pura descrizione dei testi. L’analisi giunge poi a prospettare l’utile categoria di satira menippea proposta da Northrop Frye e a porre Davies nella tradizione non puramente narrativa, ma piuttosto satirico-intellettuale, che va da Burton a Swift a Peacock a Huxley a Waugh.

Il volume su Browning (Robert Browning’s The Ring and the Book: A Critical Appraisal, Pescara 2003) indaga il rapporto riccamente problematico che l’autore ha con la storia, e legge il poema drammatico analizzando il complesso gioco tra fonte (lo Yellow Book) e trasfigurazione narrativa, identificando nelle variazioni dello stile (vedi ad esempio la valutazione delle quattro modalità di allitterazione proposta da Beatty, p. 119) la creazione di un mondo dove ogni personaggio ha una sua identità precisa e non facilmente schematizzabile.

Il volume The Early Joyce and the Writing of Exiles (Aracne 2008) ambienta la produzione joyciana in una documentata analisi della sua biografia e dei suoi studi, ricordando i traumi infantili che vengono poi filtrati nella scrittura, analizzando il forte interesse per Ibsen e poi per Hauptmann e D’Annunzio, e attribuisce – in modo piuttosto convincente – un ruolo assai rilevante alla scrittura di Exiles, che esorcizzerebbe l’orrore del tradimento e consentirebbe all’autore di riaffrontare serenamente il pericoloso tema nella visione trasfigurata dello Ulysses.

Nell’antologia Victorian Poetry (Milano 1999) curata con Mariaconcetta Costantini De Marco ha trattato la poesia di Tennyson e di Browning. 

I numerosi saggi, oltre ad alcuni che preparano i volumi, spaziano da Yeats a Bunyan (riproposto in due edizioni, su Merope nel 1997 e su Bunyan Studies nel 1999), da Blake a Jane Austen, da Meredith a Conrad, da George Eliot a Calvino e a Joyce. Da segnalare il lungo saggio sul personaggio di Strether nel jamesiano The Ambassadors.

Alcune pubblicazioni (Pass It! A University Handbook for Italian Students, Manage Your English e Le Français de Affaires) non sono state considerate in quanto riconducibili ad altro settore scientifico-disciplinare.

Nonostante alcune pregevoli acquisizioni evidenti nei testi esaminati, la produzione critica di Nicola De Marco non rivela ancora una piena maturità scientifica che possa definirlo come idoneo in una valutazione per la prima fascia.

 

Giudizio del  Prof.   VITO CAVONE:

 

Il prof. De Marco sviluppa la sua produzione prevalentemente in due campi e periodi specifici : vittorianesimo e modernismo, cui appartengono i suoi contributi più interessanti. Nel primo campo si notano i saggi su G. Eliot, Meredith e soprattutto Browning, al cui The Ring and the Book è dedicata una densa monografia. Al modernismo si riconnettono i contributi monografici su Conrad e Joyce.

Interessante ma isolato appare il volume sulla trilogia Salterton dello scrittore canadese Robertson Davies.

Presenta inoltre due buone co-curatele: Fiction in Transition e Victorian Poetry.

Il percorso critico del candidato rivela acutezza di analisi ma una non completa maturazione.

 

Giudizio collegiale:

 

Il candidato Nicola De Marco sviluppa la sua produzione prevalentemente in due campi e periodi specifici: vittorianesimo e modernismo, cui appartengono i suoi contributi più interessanti. Nel primo si notano i saggi su G. Eliot, Meredith e soprattutto Browning, al cui The Ring and the Book è dedicata una densa monografia. Al modernismo si riconnettono i contributi monografici su Conrad e Joyce. La prima monografia, Liberty and Bread: The problem of perception in Conrad. A critical study of ‘Undern Western Eyes’ (1991), indaga il complesso romanzo conradiano con convincenti ipotesi interpretative, in particolare la unreliability del narratore, l’ispirazione dostoevskiana (nella convincente analogia tra Haldin e il Cristo dei Karamazov) e il turbato interesse per l’inevitabilità del tradimento e del fraintendimento della realtà. In questo testo, dotato di un certo spessore critico, De Marco non ha ancora sviluppato il gradevole stile delle opere successive, e la sua scrittura risulta a tratti troppo irta e autoreferenziale. La seconda monografia, uno studio su The Salterton Trilogy of Robertson Davies (1996), costituisce una buona introduzione all’opera dello scrittore canadese. A James Joyce è dedicato un acuto saggio, “ ‘Oxen of the Sun’ and the Gestation of the Word” (2007), apparso su un volume collettaneo della UP of Florida, nonché una monografia, The Early Joyce and the Writing of ‘Exiles’ (2008), ben documentato ma scarsamente originale. Si tratta di un lavoro che ambienta la produzione joyciana in un’analisi della sua biografia e dei suoi studi, ricordando i traumi infantili poi filtrati nella scrittura, analizzando il forte interesse per Ibsen e poi per Hauptmann e d’Annunzio e attribuendo un ruolo assai rilevante alla scrittura di Exiles, che esorcizzerebbe l’orrore del tradimento e consentirebbe all’autore di riaffrontare serenamente il pericoloso tema nella visione trasfigurata dello Ulysses. Il volume su Browning (Robert Browning’s The Ring and the Book: A Critical Appraisal, 2003) indaga il rapporto riccamente problematico che l’autore ha con la storia, e legge il poema drammatico analizzando il complesso gioco tra fonte (lo Yellow Book) e trasfigurazione narrativa, identificando nelle variazioni dello stile la creazione di un mondo dove ogni personaggio ha una sua identità precisa e non facilmente schematizzabile. Il lavoro getta le basi per un’interessante rilettura del testo,  ma non riesce a darne una piena elaborazione nel volume.

Il percorso critico del candidato rivela acutezza di analisi, ma una maturazione non pienamente raggiunta.

 

 

Candidata CARLA DE PETRIS

 

Giudizi individuali:

 

Giudizio del Prof. FRANCESCO MARRONI:

 

La candidata presenta una produzione scientifica che si è sviluppata nell’arco di oltre trent’anni,  ponendo sempre in primo piano la letteratura e la cultura irlandese su cui dimostra  di avere ampie competenze non disgiunte da un attivo e appassionato impegno in direzione di una diffusione e promozione degli studi letterari anglo-irlandesi in Italia. Nel suo lungo  e fruttuoso percorso Carla De Petris ha affrontato diversi aspetti della letteratura irlandese, con risultati che vanno da un ammirevole lavoro divulgativo (come, ad esempio, nel caso delle voci enciclopediche, citate nel curriculum vitae e non incluse fra i pubblicazioni da valutare) ad approfondimenti critici di indubbio valore scientifico. Oltre alla curatela dei due volumi  The Cracked Lookingglass – Contributions to the Study of Irish Literature (1999) e Continente Irlanda – Storia e scritture contemporanee (2001), va menzionata l’intervista (2007, Irish University Review) a Eiléan Ní Chuilleanáin in cui si parla del Grand Tour, del rapporto Irlanda/Italia e che si conclude con la traduzione della poesia “Crossing the Loire” a firma della candidata. Impegnativo e importante il volume “Traduzioni” e altri drammi (1996) nel quale sono tradotti con buoni risultati tre lavori teatrali di  Brian Friel: “Faith Healer”, “Translations” e “Dancing at Lughnasa”. Il volume si avvale anche di un’introduzione (“Friel, il teatro, l’Irlanda”) di circa cento pagine nella quale De Petris, dopo aver preso le mosse dal teatro di Yeats, illustra elementi tematici, problematiche linguistiche e tensioni politico-culturali che confluiscono nel teatro irlandese contemporaneo (Field Day Theatre Company), senza mai omettere di delineare il contesto storico. Nella seconda parte dell’introduzione (pp. 40-96), De Petris  presenta la traiettoria del teatro di Brian Friel, sempre con dovizia di notizie storiche e biografiche che, soprattutto sul versante drammaturgico e letterario, testimoniano dell’attento e scrupoloso lavoro di documentazione da parte della candidata. Più recentemente, la candidata ha scritto diversi lavori: l’interessante articolo “L’Irlanda e la Grande Guerra: dai campi di battaglia alla memoria” (2004); un saggio su Desmond O’Grady (2004) in cui viene presentata l’antologia di traduzioni a firma del poeta irlandese; un saggio in cui, fra le altre cose, si mostra come Lady Gregory apprezzasse l’arte del pittore italiano Antonio Mancini (“Lady Gregory and Italy: A Lasting and Profitable Relationship”, 2004);  un breve nota sulla narrativa di Jennifer Johnston (2005); un’intervista alla poetessa Ciaran Carson (2006); il saggio “George Egerton: A New Woman from the New Worlds” (2006); e infine un articolo presentato a un convegno (Sassari, 2005) e intitolato “La via per il ‘Purgatorio di San Patrizio’ passa per l’Umbria: da Lough Derg a Todi e Orvieto” (2006).

            La produzione presentata per la presente valutazione comparativa delinea il quadro di una studiosa che, positivamente impegnata sul versante della letteratura irlandese, non ha tuttavia prodotto lavori di piena maturità da cui emergano una visione critica e un metodo ben definiti. Non sono pochi i meriti culturali della candidata – fra i quali vanno ricordati i suoi rapporti con le istituzioni irlandesi–, si avverte tuttavia la mancanza una monografia di ampia portata che mostri la capacità di articolare un discorso critico coerente e unitario su un autore, su una tematica o su un progetto letterario-culturale di ampio respiro. Pur riconoscendo l’impegno e la dedizione della candidata nell’ambito dell’irlandesistica, ai fini della valutazione comparativa si esprime qualche riserva sulla linea di ricerca sin qui seguita e pertanto anche sulla produzione scientifica di Carla De Petris.    

 

Giudizio della Prof. MARIANGELA TEMPERA:

 

Laureata presso l’Università di Roma “La Sapienza” nel 1970, CARLA DE PETRIS, Professore Associato di Letteratura Inglese dal 1998, insegna presso l’Università di Roma 3 dal 2005. E’ nel comitato di redazione di Etudes Irlandaises e di Canadian Journal of Irish Studies. Ha svolto un’intensa attività didattica anche a livello di dottorato internazionale. Ha ricoperto numerosi incarichi istituzionali.

       Si è occupata quasi esclusivamente di letteratura e cultura irlandese del Novecento. In questo settore ha curato con Maria Stella l’interessante volume Continente Irlanda, ha tradotto, con un ottimo saggio introduttivo, il teatro di Brian Friel (1996) e ha scritto saggi per riviste e volumi collettanei editi anche da buone case editrici italiane e straniere. I suoi lavori hanno contribuito a diffondere in Italia la conoscenza della letteratura irlandese sia presso il pubblico generale che fra gli studiosi. Di particolare rilievo sono i suoi lavori apparsi su Joyce Studies in Italy e il saggio “Heaney e Dante” pubblicato nel volume collettaneo Critical Essays on Seamus Heaney (a cura di Robert F. Garratt, 1995).

            Manca uno studio monografico che permetta di valutare la sua capacità di elaborare pienamente il suo pensiero critico.

 

Giudizio della  Prof.  ANNAMARIA SPORTELLI LIPPOLIS:

 

Specialista di letteratura irlandese del Novecento, la candidata Carla De Petris  presenta un’ampia produzione  che attraversa l’ambito di indagine in oggetto con curatele, saggi e traduzioni e alcuni lavori intesi a promuovere  la conoscenza in Italia dell’Irlanda e della sua letteratura. Si segnala come contributo di rilievo  il suo studio su Brian Friel ( “Traduzioni” e altri drammi), che include  un ampio saggio introduttivo che indaga le valenze di continuità del drammaturgo rispetto ai grandi della letteratura irlandese  così come il suo self-portrait, il tentativo, cioè, di una definizione di Irishness, divenuta nella contemporaneità più problematica ed ambigua. Il volume, che prende il titolo da uno dei tre drammi tradotti, Translations, di fatto molto amato ma anche molto contestato, si fa carico di una ampia riflessione sui problemi della identità, ancora non risolti. In co-curatela è presentato The Cracked Lookingglass. Contributions to the Study of Irish Literature, con ampia introduzione che ripercorre l’immagine dello specchio delle prime scene dello Ulysses poste in relazione con altri specchi della letteratura (Caliban, Hamlet, Dorian Gray). Esso contiene traduzioni e saggi di notevole interesse.  Il volume in co-curatela con Maria Stella dal titolo Continente Irlanda si avvale di una introduzione a firma di entrambe le curatrici, di cui tuttavia non sono indicate le parti a firma di ciascuna, ed un saggio sulle “Voci del teatro contemporaneo” in cui si dà conto del brulicante ambiente teatrale irlandese da Exiles in poi. Si segnalano inoltre i saggi che mettono in relazione Seamus Heaney, Dante e Joyce, sullo sfondo della lettura della saggistica beckettiana del 1929. I suoi studi costituiscono un pregevole  e sfaccettato insieme, a cui manca tuttavia una compiuta produzione monografica, oltre che un ampliamento verso altre aree di confronto.

 

Giudizio della  Prof.  DANIELA GUARDAMAGNA:

 

La candidata presenta varie curatele, a sua firma o a firma congiunta con altri, traduzioni e molti saggi; nessuna monografia.

Le curatele, attente e ricche, vengono a costituire l’immagine di una studiosa consapevolissima del suo tema, la letteratura irlandese, di cui è tra i maggiori esperti italiani.

Il testo Brian Friel, “Traduzioni” e altri drammi (Roma: Bulzoni, 1996), presenta l’opera del drammaturgo contemporaneo irlandese con una profonda attenzione al contesto, in una lunga introduzione che effettua in realtà una breve storia del teatro irlandese dalle sue origini, cioè dalla nascita dell’Abbey Theatre con Yeats e Lady Gregory, e dalla sua rinascita, dopo il rogo del vecchio Abbey e la inaugurazione dello sperimentale Peacock; si accenna al rapporto dialettico con Beckett, si analizzano gli autori contemporanei, da Kilroy a Murphy, e infine ci si concentra sull’opera di Friel, prima le opere maggiori (la più nota Philadelphia Here I Come) e poi quelle tradotte nel testo. Seguono una cronologia, un’ampia bibliografia e la traduzione di The Faith Healer, Translations e Dancing at Lughnasa.

The Cracked Lookingglass. Contributions to the Study of Irish Literature è a firma, oltre che della candidata, di Jean M. Ellis D’Alessandro e Fiorenzo Fantaccini; si tratta di un pregevole volume che contiene saggi e poesie, con traduzione in italiano di poesie irlandesi e verso l’inglese di due poesie di Michelangelo, tradotte dal poeta Derek Mahon; notevole il parterre degli autori dei saggi, da Seamus Heaney a Keir Elam a Anthony Johnson a Richard Allen Cave. La candidata contribuisce con una breve introduzione, un saggio sulla poesia di Patrick Cavanagh, la traduzione (molto interessante) di alcune poesie, e una nota su una lettera inedita di Sean O’Casey.

La terza curatela è il volume Continente Irlanda. Storia e scritture contemporanee (Roma: Carocci 2001), a firma della candidata e di Maria Stella, a cui De Petris contribuisce con un’introduzione a quattro mani con l’altra curatrice (non ne è definita con precisione la paternità), con la traduzione di alcune poesie e con il saggio “Voci dal teatro contemporaneo”. Anche questo testo riunisce saggi di autori importanti, da Agostino Lombardo a Giuseppe Serpillo a Romolo Runcini a Viola Papetti a Francesca Romana Paci.

La candidata presenta poi molti saggi pubblicati in Italia e all’estero, quasi tutti (tranne quello sull’autrice australiana nota con lo pseudonimo George Egerton) su autori o temi irlandesi:  su Seamus Heaney (“Heaney and Dante”, in Critical Essays on Seamus Heaney, New York,  G.K. Hall, e “Heaney’s Use of Dante against Joyce”, Roma, Bulzoni 1998); su Heaney e Ciaran Carson (“Dante… Joyce. Heaney… Carson: An Interview”, Bulzoni: Roma, 2006: la punteggiatura del titolo è ovviamente modellata sull’esempio del saggio beckettiano Dante… Bruno. Vico.. Joyce);  sulla poco conosciuta poetessa Eavan Boland (Pescara 1998), sul rapporto con l’Italia di Sean O’Faolain (Torino 2000) e di Lady Gregory (Irish University Review. A Journal of Irish Studies, 2004); su Desmond O’Grady (Hungarian Journal of English and American Studies, 2004) e Jennifer Johnston (Verona 2005). Inoltre, un’intervista, con traduzione di tre poesie, alla poetessa Eiléan Nì Chuilleanaàin; un saggio che, sulla scia di La nascita del Purgatorio di Le Goff (1981), indaga la leggenda irlandese del Purgatorio di San Patrizio, dalla fabula alla sua rappresentazione negli splendidi affreschi di Todi e di Orvieto; un saggio sul rapporto fra l’Irlanda e la letteratura della Prima Guerra Mondiale (2004), e uno su Belfast come crocevia dei rapporti conflittuali Irlanda-Inghilterra, attraverso l’opera di Carson e di McLiam Wilson (Roma 2003).

La figura della candidata è quindi culturalmente assai ricca e dotata di precisa identità culturale; l’assenza di una monografia, tuttavia, rende impossibile giungere a una valutazione di piena maturità scientifica.

 

Giudizio del  Prof.  VITO CAVONE:

 

La prof. De Petris sottopone alla valutazione comparativa varie curatele, traduzioni e saggi, ma nessuna monografia. Il settore cui si dedica quasi esclusivamente è la letteratura irlandese di cui si rivela un’assoluta esperta, come ben rivelano i volumi da lei curati: The Cracked Lookingglass (1999) e Continente Irlanda (2001). Tra questi autori irlandesi che vanno da Lady Gregory a Seamus Heaney, spicca Brian Friel, di cui traduce alcuni plays con una bella e corposa introduzione ("Traduzioni" e altri drammi, 1996).

            Questa scelta specialistica diventa un limite nella valutazione comparativa nel settore disciplinare.

 

Giudizio collegiale:

 

La candidata presenta una produzione scientifica che si è sviluppata nell’arco di oltre trent’anni,  ponendo sempre in primo piano la letteratura e la cultura irlandese su cui dimostra di avere ampie competenze non disgiunte da un attivo e appassionato impegno in direzione di una diffusione e promozione degli studi anglo-irlandesi in Italia. Le curatele, attente e ricche, vengono a costituire l’immagine di una studiosa molto consapevole del suo tema. I suoi lavori fanno di lei uno maggiori esperti italiani di letteratura e cultura anglo-irlandese. Nel suo lungo  e fruttuoso percorso Carla De Petris ha affrontato diversi aspetti della letteratura irlandese, con risultati che vanno da un ammirevole lavoro divulgativo (come, ad esempio, nel caso delle voci enciclopediche, citate nel curriculum vitae e non incluse fra le pubblicazioni da valutare) ad approfondimenti critici di indubbio valore scientifico. Oltre alla curatela dei due volumi  The Cracked Lookingglass – Contributions to the Study of Irish Literature (1999) e Continente Irlanda – Storia e scritture contemporanee (con Maria Stella, 2001), va menzionata l’intervista (2007, Irish University Review) a Eiléan Ní Chuilleanáin in cui si parla del Grand Tour, del rapporto Irlanda/Italia. Impegnativo e importante il volume “Traduzioni” e altri drammi (1996) nel quale sono tradotti con buoni risultati tre lavori teatrali di  Brian Friel: “Faith Healer”, “Translations” e “Dancing at Lughnasa”. Il volume si avvale anche di un’introduzione (“Friel, il teatro, l’Irlanda”) di circa cento pagine nella quale De Petris, dopo aver preso le mosse dal teatro di Yeats, illustra elementi tematici, problematiche linguistiche e tensioni politico-culturali che confluiscono nel teatro irlandese contemporaneo, senza mai omettere di delineare il contesto storico. La candidata presenta poi molti saggi pubblicati in Italia e all’estero, quasi tutti su autori o temi irlandesi:  si segnalano in particolare i lavori su Seamus Heaney (“Heaney and Dante”, in Critical Essays on Seamus Heaney, New York,  G.K. Hall, 1995, “Heaney’s Use of Dante against Joyce”, 1998) e sulla poco conosciuta poetessa Eavan Boland (1998).

La produzione presentata per la presente valutazione comparativa delinea il quadro di una studiosa a cui manca uno studio monografico che permetta di valutare la sua capacità di elaborare pienamente il suo pensiero critico.

 

 

Candidata GIULIANA FERRECCIO

 

Giudizi individuali:

 

Giudizio del Prof. FRANCESCO MARRONI:

 

La candidata Giuliana Ferreccio presenta un profilo scientifico piuttosto discontinuo e con frequenti incursioni nell’area degli studi comparati (Milton, Tasso, Cavalcanti, Alfieri, ecc.), senza comunque pervenire ad esiti di grande peso critico-metodologico, a parte alcune interessanti analisi intertestuali (Alfieri/Byron). La breve monografia La passione dell’ironia. Saggio su Jane Austen (1990) presenta alcune idee ben argomentate che rinviano sia alla dialettica umorismo/malinconia, fondativa dell’innovazione austeniana, sia a quello che la candidata definisce “luddismo austeniano”. Tuttavia, Ferreccio non va al di là dell’analisi di due romanzi (Northanger Abbey e Emma) e a qualche riferimento alle altre opere, mentre il nuovo genere romanzesco attivato dalla narrativa austeniana avrebbero meritato una trattazione a più ampio raggio.   Alcuni anni dopo, a Jane Austen è dedicato un maturo articolo (2004) in cui viene analizzato Mansfield Park che, in questo caso, è letto, non senza linee di originalità, alla luce dei complessi e contraddittori percorsi mentali della protagonista, Fanny Price. Argomentazioni pressoché analoghe ritornano in un saggio più recente (“Autorità, autore e personaggio in Mansfield Park”, 2006) in cui ad essere preso in considerazione è ancora Mansfield Park con risultati tendenti più al divulgativo che a una vera disambiguazione dei codici testuali.

            Tra i lavori più recenti, merita particolare attenzione Paesaggi della coscienza. La formazione poetica in William Wordsworth (2006), una monografia che, per quanto ambiziosa e promettente nel progetto (si veda, in proposito, l’ “Introduzione”), manca di un coerente disegno che, dall’inizio alla fine, ne delinei la traiettoria ermeneutica. Al contrario, la rielaborazione e l’inserimento di saggi precedentemente pubblicati rendono problematica la coerenza del capitolo imperniato sul Prelude, che, sottratto a un’analisi testuale serrata, viene affidato troppo spesso ai discorsi della tradizione critica (Bloom, McFarland, De Man, Hartman, Wu ed altri). Vanno apprezzati per lucidità ermeneutica alcuni lavori come il saggio “Fatti e finzione nei generi letterati” (1994), “Le metamorfosi della caduta: Paradise Lost e La Gerusalemme” (1997)  e “La lezione dei maestri e la musica dei Four Quartets” (2007). In particolare, quest’ultimo lavoro rivela un’ampia competenza nell’ambito del modernismo, definendo, in modo meditato e profondo, idee sperimentali e atteggiamenti storico-culturali di T. S. Eliot sul nesso fra poesia e musica.

            La candidata appare impegnata su molti versanti, fornita di ottima preparazione, ma non presenta nessuna monografia che sia il risultato di una riflessione continua e articolata nel tempo. Mancano lavori che, anche sul piano dell’estensione, possano essere considerati un contributo originale e maturo nell’ambito del raggruppamento scientifico-disciplinare L-LIN/10. In attesa di prove più significative, e pur riconoscendo la ricchezza degli interessi di ricerca, si ritiene di esprimere un giudizio non pienamente positivo sulla produzione scientifica di Giuliana Ferreccio ai fini della presente valutazione comparativa.    

 

Giudizio della Prof. MARIANGELA TEMPERA:

 

Laureata presso l’Università di Torino dopo avere conseguito un MA presso l’università del Texas, GIULIANA FERRECCIO è Professore Associato di Letteratura Inglese presso l’Università di Torino dal 1992. Ha svolto un’assidua attività didattica anche a livello di corsi Erasmus.

Una parte dei suoi lavori si colloca nell’ambito della Lettura Comparata (studi su Alfieri e Byron, Milton e Tasso, ecc.). Nell’anglistica, si è occupata di Jane Austen a cui ha dedicato una breve monografia, La passione dell’ironia (1990) che poco aggiunge alla conoscenza dell’autrice e due saggi più interessanti, “Autorità, autore, personaggio in Mansfield Park” (2006) e “Character and Characters: The Problems of Fanny Price” (2004). I suoi lavori più originali sono dedicati a Wordsworth. Due corposi saggi: “Iconoclastia romantica” (2005) e “The Unimaginable Touch of Time” (2005), con buona collocazione editoriale, sono stati rielaborati all’interno di Paesi della coscienza (2006), una ben documentata monografia su The Prelude. A T.S. Eliot ha dedicato un importante saggio all’interno del volume La tradizione dei moderni e la musica (2007) da lei curato.

            Giuliana Ferreccio è una studiosa seria e produttiva che tuttavia non rivela una completa autonomia critica.

 

Giudizio della  Prof.  ANNAMARIA SPORTELLI LIPPOLIS:

 

L’ampia produzione della prof. Ferreccio si articola in più filoni coerentemente tenuti insieme da questioni di poetica, come è il caso degli studi relativi ai romantici e al modernismo, e da interessanti incursioni comparatistiche  (con la letteratura italiana) e intersemiotiche ( con la musica), oltre che in studi sul romanzo di formazione. Argomentato e fine è il suo studio monografico Paesaggi della coscienza. La formazione di William Wordsworth (2006) dedicato a The Prelude e alle sue molteplici versioni, considerato anche dalla prospettiva dialettica, propria del periodo, fra epica e lirica. Tale studio risulta preparato da saggi quali “Iconoclastia romantica” e “The Unimaginable Touch of Time” (2005). Il suo approdo al Modernismo avviene tramite l’approccio intergenerico tra letteratura e musica con risultati interessanti, nella curatela di La tradizione dei moderni e la musica, corredata di introduzione e da un lungo saggio.

Nello studio su Northanger Abbey ed Emma all’interno del volume La passione dell’ironia. Saggio su Jane Austen  (1990), il focus si concentra sull’analisi delle strategie narrative  e sugli spostamenti di genere, dal novel al romance, rinvenibili nella trattazione. Dall’esame, la produzione della candidata emerge come frutto di sensibilità letteraria solo parzialmente compiuta.

 

 

Giudizio della  Prof.  DANIELA GUARDAMAGNA:

 

La candidata è indubbiamente a suo agio nell’analisi del periodo tra preromantico e romantico, e in quella dello sviluppo della sensibilità sentimentale. Questo risulta evidente nel volumetto dedicato a Jane Austen (La passione dell’ironia, Tirrenia 1990), dove si indagano le strategie narrative dell’autrice soprattutto nella creazione delle protagoniste femminili di vari testi austeniani, nell’affiorare della malinconia come cifra costante al di sotto dell’ironia che la dipinge. A Jane Austen sono dedicati anche i saggi “Character and Characters: The Problems of Fanny Price” e “Autorità, autore e personaggio in Mansfield Park”; al romanzo di formazione, in particolare a Richardson,  il lungo e interessante scritto “Lo spettatore imparziale” (1985).

Di Wordsworth si occupa il volume Paesaggi della coscienza (Torino 2006), molto informato e chiaro nell’analisi delle varie versioni del Prelude e nell’interpretazione della centralità del momento epifanico nella produzione del poeta; meno risolta appare l’analisi dell’influenza nel periodo romantico del Tasso e della Gerusalemme, a cui sono dedicati due capitoli. 

Su Wordsworth la candidata ha prodotto anche tre saggi, “Iconoclastia romantica”, “‘Shapes of Wilful Fancy’” e “‘The Unimaginable Touch of Time’”, non interamente confluiti nel volume sopra descritto.

Una successiva fase della produzione di Giuliana Ferreccio riguarda la poesia di T.S. Eliot e il rapporto poesia-musica. A questo sono dedicate le due curatele L’improvvisazione in musica e in letteratura (Torino 2007) e La Tradizione dei moderni e la musica (Torino 2007), tuttavia di ben diverso impegno e rilevanza. Alla prima, infatti, la candidata contribuisce soltanto con una premessa; riguardo alla seconda, invece, oltre al puro dato quantitativo (sono presenti una Premessa, un’introduzione e un lungo saggio sui Four Quartets), è evidente che la candidata è stata centrale nel processo di creazione del volume, in quanto il dialogo di Eliot con Cocteau e Saint-John Perse, oggetto di studio degli altri saggi presenti, è indagato con precisione negli scritti a sua firma.

Del 2007 e 2008 sono due saggi dedicati a Coetzee, “Confessioni dal sottosuolo” e “J.M. Coetzee e la confessione”, che indagano il rapporto di Coetzee con Dostoevskij, dalle pagine critiche al romanzo che vede intertestualmente protagonista l’autore russo. Le altre incursioni nel Novecento sono il saggio su Karen Blixen (1992) e quello sulla Partisan Review e le problematiche della sinistra americana negli anni Venti (“Ideologia letteraria e sinistra americana”, 1977).

Gli altri saggi presentati dalla candidata sono dedicati al rapporto Milton-Tasso (“La metamorfosi della caduta”, 1997, e “Satana Eikonoklastes”, 1999), a quello tra Alfieri e Byron (2003) e ad alcune riflessioni sulle teorie narrative (“Fatti e finzioni nei generi letterari”, 1994). Si segnala infine la lunga e informata voce sul romanzo del secondo Ottocento (Meredith, Hardy e Stevenson), per la storia letteraria Utet a cura di Franco Marenco.

I risultati della produzione della candidata, spesso egregi ma altre volte non pienamente risolti, non consentono di giungere a una valutazione di piena maturità scientifica.

 

Giudizio del  Prof.   VITO CAVONE:

 

La prof. Ferreccio è autrice di due monografie: una su Jane Austen (La passione dell’ironia) che risale al 1990 e l’altra più recente sul Prelude di Wordsworth (Paesaggi della coscienza). A questi autori sono dedicati anche altri  saggi. Il capitolo IV della monografia su Wordsworth (“W. e Tasso”)  ed altri contributi (v. “Alfieri e Byron”) rivelano una insistita vocazione comparatistica. Allo stesso modo la curatela del volume L’improvvisazione in musica e in letteratura  ed altri saggi dello stesso tipo  mostrano un approccio interdisciplinare.

La pur  notevole e variegata produzione della candidata non testimonia una completa coerenza di percorso.

 

Giudizio collegiale:

 

La candidata Giuliana Ferreccio presenta un profilo scientifico piuttosto discontinuo e con frequenti incursioni nell’area degli studi comparati (Milton, Tasso, Cavalcanti, Alfieri, ecc.), senza comunque pervenire ad esiti di grande peso critico-metodologico, a parte alcune interessanti analisi intertestuali (Alfieri/Byron). La breve monografia La passione dell’ironia. Saggio su Jane Austen (1990) presenta alcune idee ben argomentate che rinviano sia alla dialettica umorismo/malinconia, fondativa dell’innovazione austeniana, sia a quello che la candidata definisce “luddismo austeniano”. Tuttavia, Ferreccio non va al di là dell’analisi di due romanzi (Northanger Abbey e Emma) e di qualche riferimento alle altre opere, mentre il nuovo genere romanzesco attivato dalla narrativa austeniana avrebbe meritato una trattazione a più ampio raggio.  Alcuni anni dopo, a Jane Austen è dedicato un maturo articolo (2004) in cui viene analizzato Mansfield Park che, in questo caso, è letto, non senza linee di originalità, alla luce dei complessi e contraddittori percorsi mentali della protagonista, Fanny Price. Argomentazioni pressoché analoghe ritornano in un saggio più recente (“Autorità, autore e personaggio in Mansfield Park”, 2006) in cui ad essere preso in considerazione è ancora Mansfield Park, con risultati tendenti più al divulgativo che a una vera disambiguazione dei codici testuali. Di Wordsworth si occupa il volume Paesaggi della coscienza (2006), molto informato e chiaro nell’analisi delle varie versioni del Prelude e nell’interpretazione della centralità del momento epifanico nella produzione del poeta; meno risolta appare l’analisi dell’influenza nel periodo romantico del Tasso e della Gerusalemme, a cui sono dedicati due capitoli. Su Wordsworth la candidata ha prodotto anche tre saggi, “Iconoclastia romantica”, “‘Shapes of Wilful Fancy’” e “‘The Unimaginable Touch of Time’”. Vanno apprezzati per lucidità ermeneutica alcuni lavori come il saggio “Fatti e finzione nei generi letterari” (1994), “Le metamorfosi della caduta: Paradise Lost e La Gerusalemme” (1997) e “La lezione dei maestri e la musica dei Four Quartets” (2007). In particolare, quest’ultimo lavoro rivela un’ampia competenza nell’ambito del modernismo, definendo, in modo meditato e profondo, idee sperimentali e atteggiamenti storico-culturali di T. S. Eliot sul nesso fra poesia e musica.

La pur  notevole e variegata produzione della candidata non testimonia una completa coerenza di percorso.

 

 

Candidata LIA SIMONETTA GUERRA 

 

Giudizi individuali:

 

Giudizio del Prof. FRANCESCO MARRONI:

 

Muovendosi in aree ben delineate, l’attività scientifica di Lia Simonetta Guerra privilegia, nella fase iniziale, la ricerca sulla poesia con la pubblicazione di La polvere e il segno (1980), un’antologia sui war poets che si avvale di un’introduzione puntuale e ben documentata; la traduzione dei testi, sempre scrupolosa e attenta, perviene a ottimi risultati, sia sul piano della equivalenza semantica, sia su quello fonoprosodico. In una fase successiva, la candidata prende in esame l’opera di Joyce con la pubblicazione del lavoro monografico Interpreting Joyce’s “Dubliners” (1992) in cui, con esiti molto interessanti, sperimenta diversi approcci critici. Nonostante ad essere privilegiata sia la narratologia (Genette, Bremond e altri),  la lettura risulta sempre di ampio respiro e in grado di cogliere l’ampiezza delle problematiche epistemico-culturali poste dal primo Joyce. Una seconda monografia – anche in questo caso molto ben scritta – appare nel 2007 con il titolo Fogli triestini. Giacomo Joyce. Si tratta della storia del manoscritto noto come Giacomo Joyce, che la candidata analizza prendendo le mosse dagli aspetti paratestuali fino a pervenire all’“analisi delle sequenze per unità di pagina”.  Nel complesso, il percorso analitico appare raffinato, sempre molto minuzioso, bibliograficamente denso di rimandi e maturo nel metodo.

            Un’ulteriore area di studio è costituita dall’opera di Mary Wollstonecraft e Mary Shelley. In particolare, si segnala il  volumetto Il mito nell’opera di Mary Shelley (1995), di cui è apprezzabile il terzo capitolo (“I drammi mitologici di Mary Shelley”), soprattutto per il nesso istituito con le fonti classiche e per l’accento posto sulla polemica contro la società coeva. Nello stesso ambito il lavoro sulla History of a Six Weeks’ Tour di Mary Shelley, di cui la candidata, oltre ad avere scritto una bella introduzione, ha curato la traduzione (testo a fronte),  con risultati molto buoni. Non meno valido e maturo appare il saggio sullo stesso argomento (2001), che approfondisce le modalità con cui Mary Shelley si appropria dell’idea di storia come progresso, riuscendo a declinare sempre in positivo i dati storico-educativi derivati dalle esperienze di viaggio. Per quanto riguarda Mary Wollstonecraft,  il denso saggio “Scandinavia 1795. Rapporto dai confini dell’Europa” (1995)  può essere considerato un contributo agli studi sulla scrittrice. Incentrato su “un testo costruito a tavolino”, il lavoro sulle Letters Written during a Short Residence in Sweden, Norway, and Denmark mette in evidenza come i discorsi contrastanti dell’io (sentimentalismo)  e dell’altro (antropologia) trovino una sistemazione nella scrittura modellizzante di Mary Wollstonecraft. Va segnalato infine l’articolo “Unexpected Symmetries” (2005), che a partire dalle Letters citate sopra, instaura un fruttuoso parallelismo con il Journey to the Western Isles of Scotland di Samuel Johnson.

            La candidata presenta una produzione scientifica che, considerato il suo percorso accademico, risulta piuttosto ridotta. Tuttavia, i suoi lavori, maturi nel metodo e nell’argomentazione, configurano una studiosa seria, dotata di sensibilità critica nonché di una preparazione molto approfondita sui temi della sua ricerca.

           

Giudizio della Prof. MARIANGELA TEMPERA:

 

Laureata presso l’Università di Pavia nel 1973, LIA GUERRA è Professore Associato di Letteratura Inglese presso l’Università di Pavia dal 1998. E’ membro del consiglio direttivo di Il Confronto letterario e vicedirettore del “Centro di Ricerca sulla Tradizione Manoscritta di Autori Moderni e Contemporanei” dell’Università di Pavia. Ha partecipato a progetti di ricerca a livello locale e nazionale (COFIN). Ha svolto un’intensa attività didattica anche a livello di dottorato e ha ricoperto numerosi incarichi istituzionali.

Ha esordito con un’antologia di poeti inglesi della I Guerra Mondiale (La polvere e il segno, 1980) preceduta da un’illuminante introduzione. Si è occupata di letteratura di viaggio con risultati particolarmente originali in “Mary Shelley’s Travel Books and the Legacy of the Idea of Progress” (2001) e in “Wandering Women” (2003-4), entrambi pubblicati in buone sedi editoriali. A Mary Shelley ha dedicato un interessante lavoro monografico: Il mito nell’opera di Mary Shelley. A James Joyce ha dedicato due lavori monografici. In Interpreting James Joyce’s Dubliners (1980) ha dimostrato la sua capacità di applicare in modo personale le metodologie critiche di Greimas, Bremond e Genette. Il suo principale contributo agli studi joyciani è rappresentato da Fogli triestini: Giacomo Joyce (2007), un lavoro metodologicamente ineccepibile che getta nuova luce su questo testo.

La candidata è una studiosa originale, produttiva e pienamente matura.

 

Giudizio della  Prof.  ANNAMARIA SPORTELLI LIPPOLIS:

 

La candidata Lia Simonetta Guerra, Professore Associato di Lingua e Letteratura Inglese presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pavia, ha svolto una intensa attività didattica e scientifica, così come è testimoniato, rispettivamente, dai suoi numerosissimi incarichi di insegnamento e di direzione didattica, e dalla sua partecipazione, come coordinatrice e responsabile locale di unità di ricerca, a gruppi di ricerca interuniversitari e interdisciplinari, e a progetti COFIN, con esiti nei volumi del 1999 e del 2000, e nelle pubblicazioni dal 2003 al 2007 (si veda elenco delle pubblicazioni presentate). Ella ha assunto, inoltre, cariche istituzionali di rilievo, quale la Direzione del Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Pavia per due mandati consecutivi. La sua produzione scientifica risulta congruente con il settore scientifico-disciplinare per cui concorre e continuativa nel tempo, come si evince dall’elenco generale delle sue pubblicazioni.

Dalla sua più ampia produzione, la Prof.ssa Guerra trasceglie per la presente valutazione comparativa i volumi più significativi da cui emerge un profilo scientifico caratterizzato da compattezza di formazione, finezza di approccio critico-metodologico, eleganza ed efficacia della resa stilistica, sia negli studi in italiano sia in quelli in inglese,  tratto che si apprezza oltremodo nelle traduzioni. Si segnala al proposito la traduzione di History of a Six Weeks’ Tour di Mary Wollstonecraft Shelley e di P.B.Shelley corredata da introduzione e da un  pregevole apparato di note che mettono in luce non solo l’attenzione della studiosa alla ricostruzione di vicende biografiche e testuali ma anche all’analisi filologica. Tale attenzione è rinvenibile anche in altri luoghi della sua produzione scientifica, quale ad esempio, nel volume monografico del 2007 dal titolo Fogli triestini. Giacomo Joyce, laddove ella indaga dell’artista, in filigrana, le scelte testuali e di poetica, oltre che le vicende di genere, intertestuali e biografiche. Attraversando il complesso percorso  del biografo R.Ellmann all’interno della materia magmatica dei ‘fogli triestini’, lo studio della candidata si immerge nella loro  tessitura  e nei vari richiami all’interno di questa, interrogandosi non solo sulla loro storia editoriale e della ricezione, ma sulla loro stessa testualità. L’esito è un procedere, raffinato e colto, per isotopie e per ‘unità di pagina’, attento alla configurazione grafica e alla sua semantizzazione, nel pieno rispetto della frammentarietà/pluralità del testo. Tale asse tematico-critico era già presente in nuce e con un’attenzione ravvicinata alle istanze proposte dalla narratologia nello studio del 1992, dal titolo Interpreting James Joyce’s Dubliners An Experiment in Methods, laddove l’interrogativo sul genere testuale di Dubliners, ‘short story vs  romanzo’, ricorrente nel discorso critico e metacritico, attinge in maniera originale ai modelli dell’analisi narratologica minuta, per scavarne i meccanismi e proporre una lettura scevra da una volontà testualizzante ad ogni costo.  Di fine tessitura risulta anche lo studio dedicato a Il mito nell’opera di Mary Shelley che presenta in prima istanza una ricostruzione puntuale del dibattito religioso che dal Settecento illuminista giunse alla seconda decade dell’Ottocento, nelle pagine degli intellettuali e dei poeti con sfumature pregne di interessanti commistioni  fra poesia, saggistica e scrittura diaristica. Il focus di seguito si muove a dimostrare come la religiosità dei Greci, ammirata da Godwin diventa per Mary Shelley  elemento costitutivo della sua opera. E di ciò fa fede la pervasività del mito nella sua opera, da Mathilda a Frankenstein. L’interesse per l’opera della Shelley costituisce un nucleo compatto anche della produzione saggistica dal 1999 al 2006,  la cui scrittura viene declinata per genere (storia, biografia e biografie, diaristica e travel literature), e per modo con esito complessivo sfaccettato e di grande interesse. In parallelo e per uguale finezza si segnalano gli studi “Scandinavia 1795. Rapporto dai confini dell’ Europa” (1995) e “Unexpected Symmetries: Samuel Johnson and Mary Wollstonecraft on the Northern Road” (2005), in cui la candidata percorre i nuovi sviluppi della travel literature nella seconda metà del Settecento. Il complesso della produzione scientifica della candidata indica una personalità pienamente matura per il ruolo della presente valutazione comparativa.

 

Giudizio della  Prof.  DANIELA GUARDAMAGNA:

 

Lia Guerra presenta per la valutazione comparativa tre concise e dense monografie, due edizioni con introduzione e note, e vari articoli, saggi e postfazioni.

L’opera della candidata si distingue per la sicura eleganza dell’approccio, l’originalità degli assunti, la precisione della scrittura e del riferimento bibliografico; impeccabili sono inoltre gli apparati critici.

Il testo su Mary Shelley (Il mito nell’opera di Mary Shelley, Pavia 1995) analizza con precisione la presenza del mito nell’opera dell’autrice, indagando da un lato i complessi intrecci scrittura-biografia, dall’altro le rielaborazioni del mito greco e latino, da Apuleio a Ovidio. Guerra rintraccia in Shelley una sorta di revisionismo protofemminista da un lato e dall’altro la presenza di una profonda riflessione sulla perdita del rapporto madre-figlia, quindi nuovamente un ritorno alla biografia, soprattutto nella riscrittura del mito di Proserpina nel dramma Proserpine.

Il volume Interpreting James Joyce’s Dubliners (Udine 1992), nato come raccolta di saggi che vengono però rivisitati per la nuova pubblicazione e che rispondono con evidenza a un’unica cifra interpretativa, indaga il testo problematizzandone la natura (racconti che, per l’unità tematica e la circolarità della struttura su cui sono organizzati, necessitano di strumenti particolari per l’indagine) e appunto gli strumenti da impiegare: un’analisi narratologica che usi insieme le griglie interpretative adatte alla short story e quelle della narrativa di maggior respiro, quindi, per quanto riguarda gli aspetti teorici, da Bonheim a Genette, Bremond, Segre, Leech, Greimas, Kristeva. 

Fogli triestini. Giacomo Joyce, Pacini 2007 è un raffinato volumetto che analizza approfonditamente la vicenda editoriale del testo postumo, ‘offerto’ alla pubblicazione da Ellman nel 1968, le informazioni paratestuali, la ricezione critica, e – dopo aver riferito i risultati di critici e biografi nel riconoscimento della triestina musa ispiratrice – intraprende la complessa e raffinata decrittazione del testo joyciano, indagandolo in dettaglio e illuminandone i possibili significati.

La curatela La polvere e il segno (Milano 1980) è un volume dedicato ai poeti inglesi della prima guerra mondiale, che – con una lunga e accurata introduzione e l’insolitamente efficace traduzione di una cinquantina di poesie, da Hardy a Brooke a Edward Thomas a Sassoon a Owen a Rosenberg – ricostruisce un panorama estremamente esaustivo della poesia di quegli anni.

Ottima anche la traduzione del volume Mary Wollstonecraft Shelley e Percy B. Shelley. Storia di un viaggio di sei settimane (Firenze 1999), in cui la candidata introduce e traduce la relazione del viaggio “romantico” degli Shelley e della sorellastra di Mary, Claire Clairmont, nei “luoghi deputati della libertà e del sublime naturale” (p. 7).

Molti degli articoli presentati (alcuni dei quali pubblicati all’estero) si incardinano sui nuclei di interesse delle monografie o si allargano a temi ad esse adiacenti. A Mary Shelley sono dedicati vari saggi (“Mary Shelley’s travel books and the legacy of the idea of progress”, Liguori 2001;  “Gli Shelley a Roma”, 1997-99; “Winzy nello studiolo dell’alchimista”, Firenze, La Nuova Italia 1994, che contiene l’interessante  ricostruzione – parrebbe inedita – dei debiti di un racconto di Tarchetti nei confronti della Shelley; e ancora “Mary Shelley’s Contributions to Lardner’s Cabinet Cycolpaedia”, Amsterdam/New York, Rodopi 2005, e il lungo saggio con appendice “This nameless mode of naming the unnamable”, sulle versioni di Frankenstein a teatro, Roma, Bulzoni, 2005, pp. 179-213). Anche Mary Wollstonecraft è indagata in vari saggi, tra cui si segnala il lungo scritto sul Travelogue, “Scandinavia 1795”, ambientato nel contesto del Grand Tour settecentesco (Studi settecenteschi, 1995, pp. 281-330).

A temi romantici sono dedicati anche il saggio su Helen Maria Wiliams (Amsterdam/New York, Rodopi 2007) e quello sulle “Wandering Women” (La Questione Romantica, Liguori 2003-2004); alla poesia le riflessioni su Sanesi traduttore (presentato soltanto “Il testo come palinsesto”, ad altro testo si fa cenno nel curriculum), il saggio su Dylan Thomas (“The Burning Baby”) nel volume curato a quattro mani con Tomaso Kemeny (Dylan Thomas a ottant’anni dalla nascita, Udine 1994: non essendo possibile individuare il contributo della candidata, che peraltro presenta soltanto il saggio a sua firma, soltanto quest’ultimo viene considerato nella valutazione).

Inoltre, sono presentati un saggio su Barbara Pym e l’ottima postfazione al testo di Alvarez su Beckett  (Mondadori 1992), dove in poche pagine Guerra riesce nel difficile compito di produrre un quadro dell’opera beckettiana che è insieme esaustivo e ricco di interpretazioni non ovvie.

La candidata non sottopone a valutazione i saggi su Eliot (1982), su Rosenberg (1986 e 1988), l’introduzione e traduzione dei testi poetici di Moniza Alvi,  le traduzioni letterarie (da Carroll a Foscolo a Shelley), illustrati nel curriculum, né le varie recensioni pubblicate prevalentemente su Il Confronto letterario.

La ricca, articolata e raffinata produzione della candidata la conferma come studiosa di valore, giunta alla piena maturità critica e scientifica.  

 

Giudizio del  Prof.   VITO CAVONE:

 

La prof. Guerra è autrice di tre brevi monografie (Interpreting James Joyce’s “Dubliners”, 1992; Il mito nell’opera di Mary Shelley, 1995; Fogli triestini, Giacomo Joyce, 2007), che individuano i campi di una  ricerca condotta con puntualità, anche se non copiosa.

Ha tradotto poeti inglesi della prima guerra mondiale (La polvere e il segno, 1980) e la Storia di un viaggio di sei settimane (1999) di Mary e Percy Shelley, volumi corredati da introduzioni e note.

Su Mary Shelley e la letteratura femminile (a parte la Shelley, Mary Wollenstonecraft, Helen M. Williams e Barbara Pym) si sviluppa la maggior parte dei saggi, tranne una postfazione ad una monografia di Alvarez su Beckett  e un saggio sulla poesia di Dylan Thomas.

            La produzione della candidata non mostra uno sviluppo omogeneo e costante.

 

Giudizio collegiale:

 

Muovendosi in aree ben delineate, l’attività scientifica di Lia Simonetta Guerra privilegia, nella fase iniziale, la ricerca sulla poesia con la pubblicazione di La polvere e il segno (1980), un’antologia sui war poets che si avvale di un’introduzione puntuale e ben documentata; la traduzione dei testi, sempre elegante, scrupolosa e attenta, perviene a ottimi risultati, sia sul piano della equivalenza semantica, sia su quello fonoprosodico. Il volume Interpreting James Joyce’s Dubliners (1992), nato come raccolta di saggi che vengono però rivisitati per la nuova pubblicazione e che rispondono con evidenza a un’unica cifra interpretativa, indaga il testo problematizzandone la natura (racconti che, per l’unità tematica e la circolarità della struttura su cui sono organizzati, necessitano di strumenti particolari per l’indagine) e appunto gli strumenti da impiegare: un’analisi narratologica che usi insieme le griglie interpretative adatte alla short story e quelle della narrativa di maggior respiro  – quindi, per quanto riguarda gli aspetti teorici, da Bonheim a Genette, Bremond, Segre, Leech, Greimas, Kristeva. Un’altra monografia – anche in questo caso elegante e ben scritta – appare nel 2007 con il titolo Fogli triestini. Giacomo Joyce. Si tratta della storia del manoscritto noto come Giacomo Joyce, pubblicato postumo a cura di Richard Ellmann, che la candidata analizza prendendo le mosse dagli aspetti paratestuali fino a pervenire all’“analisi delle sequenze per unità di pagina”. L’esito è un procedere raffinato e colto, attento alla configurazione grafica e alla sua semantizzazione, nel pieno rispetto della frammentarietà/pluralità del testo, bibliograficamente denso di rimandi e maturo nel metodo. Lia Guerra si è occupata di letteratura di viaggio con risultati particolarmente originali in “Mary Shelley’s Travel Books and the Legacy of the Idea of Progress” (2001) e in “Wandering Women” (2003-4), entrambi pubblicati in buone sedi editoriali. A Mary Shelley ha dedicato un interessante lavoro monografico: Il mito nell’opera di Mary Shelley (1995), in cui si analizza con precisione la presenza del mito nell’opera dell’autrice, indagando da un lato i complessi intrecci scrittura-biografia, dall’altro le rielaborazioni del mito greco e latino, da Apuleio a Ovidio; inoltre, la curatela del “travelogue” scritto a quattro mani dagli Shelley comprende un’introduzione e un preciso apparato di note, oltre a un’elegante traduzione. Si segnalano infine i lunghi e approfonditi saggi “This nameless mode of naming the unnamable”, sulle versioni di Frankenstein a teatro (Roma, Bulzoni, 2005, pp. 179-213), e quello sul “Travelogue” di Mary Wollstonecraft, “Scandinavia 1795”, ambientato nel contesto del Grand Tour settecentesco.

L’articolata e raffinata produzione della candidata la conferma come studiosa di valore, giunta alla piena maturità critica e scientifica.  

           

 

 

Candidata NANCY BETH ISENBERG

 

Giudizi individuali:

 

Giudizio del Prof. FRANCESCO MARRONI:

 

Caratterizzata da un ben definito percorso di ricerca, la produzione scientifica di Nancy Beth Isenberg presenta  una linea di sviluppo che privilegia, con risultati di valore, Shakespeare e la cultura rinascimentale, approfondita anche tenendo conto del rapporto fra la letteratura e le altre arti (musica, danza, ecc.). Dopo l’esordio con alcuni contributi che non rientrano nel raggruppamento scientifico-disciplinare della presente valutazione comparativa (Niccolò Michelozzi, 1982, 1985), che comunque testimoniano la sua formazione di italianista, a partire dagli anni novanta la candidata comincia a pubblicare una serie di interventi sull’opera shakespeariana che, per quanto non abbiano condotto alla scrittura di una monografia, testimoniano del suo vivo interesse per il teatro elisabettiano sulla scorta di un quadro metodologico in cui la tendenza alla divulgazione, talora, ha la meglio sull’approfondimento analitico. I saggi apparsi nei volumi pubblicati dal Teatro dell’Opera di Roma risultano interessanti nella loro indagine del passaggio dal testo al balletto. In particolare, si distingue il saggio “Romeo e Giulietta di William Shakespeare e l’arte della danza” (1995) in cui si presenta e approfondisce la coreografia di John Cranko su musica di Prokof’ev; lo stesso saggio, sostanzialmente rivisitato e adattato a un lettore non italiano, con riferimenti contestuali alla cultura popolare italiana degli anni cinquanta (“Volare” di Domenico Modugno, La dolce vita, ecc.), appare in inglese nel volume Shifting the Scene: Shakespeare in European Culture (2004), a cura di Balz Engler e Ladina Bezzola. Sulla stessa linea si muovono i volumi dedicati alla Bisbetica domata (1997, rivisitato in inglese, 2008) e al romanzo woolfiano Orlando (1997). Il saggio su Orlando  ispira il saggio “Woolf’s Orlando and the Staging of Ballet Narrative” apparso due anni dopo su Textus, la rivista ufficiale dell’Associazione Italiana di Anglistica (1999), a testimonianza dell’interesse della candidata per lo studio del passaggio dal testo letterario alla trasposizione coreografica e musicale. In questo ambito si muove anche il breve articolo “L’esigentissimo regista Giuseppe Verdi” (1995) che presenta una “rassegna epistolare sulla messa in scena di Macbeth” (pp. 81-90). Sul rapporto fra testo letterario e teatro in musica si segnalano anche i saggi su Shakespeare (2005, 2007) e un articolo molto ben scritto su Rime of the Ancient Mariner (2007). Recentemente, anche organizzato su una linea storico-culturale, ha pubblicato il contributo “Beyond the Black/White Paradigm: Casting Othello and Desdemona on the Ballet Stage”, pubblicato nel volume collettaneo Postcolonial Shakespeare: studi in onore di Viola Papetti (2009). Dell’ampia produzioni di saggi e articoli brevi di Isenberg, meritano una menzione particolare i suoi originali lavori su Giustiniana Wynne, contessa Rosenberg Orsini, che da anni costituisce motivo di riflessione per la sua ricerca. Fra le pubblicazioni sul tema, si apprezza la ben introdotta e documentata curatela del volume Caro Memmo, mon cher frère. Seduzioni epistolari di una giovane angloveneziana in viaggio per l’Europa nel tempo di Casanova (2008 ma a stampa nel 2010), che, pur trattandosi di un carteggio, mette in evidenza un’indiscussa preparazione sul tema nonché una dettagliata conoscenza dei contesti epistemici.

            Molto spesso presente con relazioni nei convegni dell’A.I.A. (1980, 1985, 1989, 2001, 2007), la candidata dimostra una presenza molto attiva nella comunità scientifica, impegnandosi anche sul piano istituzionale. Alla quantità di pubblicazioni brevi (saggi, articoli e una recensione) non fa riscontro una monografia che, sul piano del respiro scientifico-metodologico, dimostri la piena maturità della candidata. La preparazione e l’ampiezza delle conoscenze, la passione e la capacità di muoversi con competenza sui diversi livelli della produzione del testo, sono i positivi presupposti per una prova più incisiva e significativa sui temi che costituiscono l’area privilegiata di Nancy Beth Isenberg.

 

Giudizio della Prof. MARIANGELA TEMPERA:

 

Laureata presso l’Università di Firenze nel 1973, dopo aver conseguito un MA a Middlebury College, NANCY ISENBERG è Professore Associato di Letteratura Inglese presso l’Università di Roma 3 dal 2000. Ha svolto una costante attività didattica nei settori di Letteratura Inglese e Lingua Inglese anche a livello di progetti Erasmus internazionali e ha ricoperto numerosi incarichi istituzionali. Ha partecipato e partecipa a progetti di ricerca dipartimentale, nazionale (CNR) e internazionale (ACUME 2).

Si è occupata principalmente di Shakespeare, con una serie di saggi nella collana “Le forme del teatro” (di particolare interesse quello su “Giulietta, il boy actor e l’identità di genere” nel volume di cui è stata curatrice con Viola Papetti nel 2003). Si è poi dedicata allo studio dei balletti tratti dalle opere di Shakespeare con una serie di saggi che, pur collocandosi nell’ambito dei “performance studies” piuttosto che della Letteratura inglese, non mancano di acute osservazioni sul testo di partenza (si veda in particolare “Accommodating Shakespeare to Ballet: John  Cranko”, 2004) e che hanno trovato buone collocazioni editoriali internazionali. Un altro filone di ricerca è incentrato sulla vita e sulle lettere di Giustiniana Wynne, un personaggio che la Isenberg ha contribuito a portare all’attenzione degli studiosi.

            La candidata è una ricercatrice seria e attiva che deve tuttavia misurarsi con la monografia per dare prova di avere raggiunto la piena maturità di studiosa.

 

Giudizio della  Prof.  ANNAMARIA SPORTELLI LIPPOLIS:

 

La produzione scientifica della candidata si sviluppa su alcune direttrici. La prima, di ambito shakespeariano, affronta alcuni drammi di Shakespeare, in particolare, Othello, Romeo and Juliet, The Taming of the Shrew in maniera coerente e compatta tramite la strumentazione offerta dai performance studies e dai gender e post-colonial studies. A tale ambito la candidata riserva vari interventi, di caratura e genere diversi (saggi, articoli, presentazione di spettacoli e così via), dedicati alla transcodifica del testo drammatico nell’arte del balletto. Nel saggio del 2009 dal titolo “Beyond the black/white paradigm: casting Othello and Desdemona on the ballet stage”, ella si interroga sulle possibilità di relazione fra un testo già ampiamente letto all’interno dei post-colonial studies, con l’arte elitaria del balletto, presentando come case study, la resa dell’Otello ad opera del coreografo Lar Lubovitch. Del 2004 è il saggio “Accomodating Shakespeare to ballet: John Cranko’s Romeo and Juliet (Venice, 1950)”, Qui la candidata indaga efficacemente la possibilità che la fonte narrativa e poi drammatica ha di coniugarsi con le convenzioni di quella arte e pone enfasi sulla corrispondenza del ruolo drammatico con il ruolo del ballet performer. Dello stesso coreografo e della sua resa di The Taming of the Shrew tratta il saggio dal titolo “Feminist movement and the balance of power in John Cranko’s Ballet The Taming of the Shrew” (Stuttgart, 1969), in cui viene posta in discussione le possibilità di significazione della forma di balletto per un testo inteso a veicolare le rivendicazioni della ”second wave” del movimento femminista, per opportunamente chiudere sulla considerazione di una sostanziale affinità fra il ‘movimento’ e il ruolo di Kate, di cui il balletto più incisivamente definisce per contrasto l’energia trasgressiva. Sullo stesso solco del possibile contrasto fra performance genre, appartenente alla cultura alta e nobile, e figure che con difficoltà si rapportano a tale canone, è lo studio sul Dracula di Stroke, figura liminale e transgenerica e appartenente a più contesti socio-culturali. L’interesse per l’identificazione ‘generica’ si manifesta coerentemente in altro nucleo di saggi quali “Giulietta, il boy actor e l’identità di genere” contenuto in Posa eroica di Ofelia, co-curatela della Prof.ssa Isenberg, in cui ella si interroga sulla complessità del personaggio di Giulietta e della frizione fra il suo profilo e il boy actor che lo interpreta. A Romeo and Juliet sono anche dedicati uno studio considerato dalla prospettiva linguistica dei servi dei Capuleti. Il saggio “Encomio e vituperio: un secolo e mezzo di scritti inglesi sulla donna (1484-1640)” è da segnalare come maturo e ampio studio sulla evoluzione della “discussione sulla donna” in un arco temporale nevralgico come passaggio verso la modernità, rilevata tramite l’identificazione di categorie e di isotopie poi rinvenibili nella puntuale trascrizione di una bibliografia ragionata dell’epoca presentata in coda al saggio.

Altro ambito di indagine è costituito dall’interessante nucleo di pubblicazioni relative allo scambio epistolare fra la giovane Giustiniana Wynne e Andrea Memmo. Lo spaccato di una società in rapida evoluzione di costumi, culturale oltre che socio-politico, è il maggiore pregio della pubblicazione “Mon cher frère, Eros mascherato nell’epistolario di Giustiniana Wynne e Andrea Memmo (1758-1760)” , e di “Without swapping her skirt for breeches. The hypochondria of Giustiniana Wynne, Anglo-venetian woman of letter” che affronta fra l’altro la prospettiva pre-disciplinare tipica degli studi sul Settecento nella distinzione fra ‘hypochondria‘ e ‘hysteria’, ampiamente utilizzata dai gender studies. Tali problematiche ritornano nella corposa trascrizione con materiale paratestuale ampio dell’inedito epistolario fra i due amanti. Nel complesso, l’interessante produzione della candidata registra la mancanza di uno studio monografico che possa compiutamente completare il suo profilo.

 

Giudizio della  Prof.  DANIELA GUARDAMAGNA:

 

La candidata presenta alcune curatele, a sua firma o a firma congiunta con altri, e vari saggi; nessuna monografia.

La prima curatela, La posa eroica di Ofelia (Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2003), con Viola Papetti, è dedicata al personaggio femminile nel teatro elisabettiano, e ad essa Isenberg contribuisce con il saggio “Giulietta, il boy-actor e l’identità di genere”, in cui si elaborano convincenti ipotesi sul rapporto fra identità attoriale e scrittura shakespeariana.

In corso di stampa è la curatela (a firma Del Sapio, Isenberg e Pennacchia) Shakespeare and Rome: Questioning bodies, geographies, cosmographies, a cui la candidata partecipa con due saggi; in corso di stampa anche il saggio “Shakespeare’s Rome in Rome’s Wooden ‘O’, nel volume a cura di Maria Del Sapio Shakespeare and Rome. Identity, Otherness and Empire.

Un fulcro di interesse della candidata è nella figura della “giovane angloveneziana” Giustiniana Wynne, sostanzialmente dimenticata prima della sua riscoperta, che la presenta all’attenzione del pubblico italiano e inglese: oggetto di studio è un ricco carteggio che viene variamente analizzato, in diversi saggi pubblicati in Italia e all’estero (“Seduzioni epistolari nell’età dei lumi”, Quaderno del Dipartimento di Letterature comparate, Roma: Carocci 2006, e “Without Swapping her Shirt for Breeches”, Cambridge, Cambridge Scholars Press, 2008) e soprattutto nel volume Caro Memmo, mon cher frère. Seduzioni epistolari di una giovane angloveneziana in viaggio per l’Europa nel tempo di Casanova, testo in cui il carteggio è accompagnato da un pregevole apparato di note e strumenti paratestuali. Il volume è edito nel 2010, ma la candidata presenta lettera dell’editore comprovante l’accettazione del dattiloscritto nei termini, e il rinvio della pubblicazione per ragioni esterne.

La candidata presenta inoltre vari saggi su opere shakespeariane, in particolare ancora sul Romeo and Juliet (“Provocazione erotica in Romeo and Juliet”, Quaderno del Dipartimento  di Letterature Comparate di Roma Tre, 2005; “L’eccellentissima commedia lacrimevole di Giulietta e Romeo e la promiscuità dei generi”, in Le forme del teatro, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura 1997), su altri testi elisabettiani (“The Commonplaces of a Renaissance Satire: Swetnam’s Araignment of Women”, in Le forme del comico, Dell’Orso 1990); “La femme au temps de Shakespeare”, in Cahiers Elisabethains, 1989, e altri saggi sul periodo. Da segnalare il lungo e informato saggio “Encomio e vituperio: un secolo e mezzo di scritti inglesi sulla donna, 1484-1640” (in Vanna Gentili, Trasgressione tragica e norma domestica. Esemplari di tipologie femminili dalla letteratura europea, Roma, Edizioni di Storia e letteratura 1983), che contiene anche un ricco elenco di testi d’epoca sull’argomento, e l’esperimento di realizzazione shakespeariana descritto in “That Shakespearian Rome! Work in Progress”, Lodz 2007.

Dedicate al rapporto fra testo letterario e balletto sono alcune presentazioni di testi shakespeariani nella loro realizzazione musicale, opera o balletto, in particolare quelle su La bisbetica domata (1997), sul Romeo and Juliet (1995) e sul Macbeth; di argomento rilevante in ambito anglistico sono anche l’analoga presentazione dedicata all’Orlando woolfiano nella realizzazione di Robert North, a cui Isenberg dedica anche un saggio pubblicato su Textus (1999), il saggio sulla realizzazione ballettistica dell’Othello (“Beyond the Black and White Paradigm: The casting of Othello and Desdemona on the ballet stage”, in corso di stampa), e la realizzazione musicale del Dracula di Bram Stoker descritta negli Atti del XX Convegno AIA (2001). Al Taming of the Shrew nella realizzazione di John Cranko è dedicato anche un saggio pubblicato nel volume Shakespeare and European Politics (Newark, University of Delaware Press 2008).

Da segnalare infine il saggio su Coleridge “Repurposing Rime of the Ancient Mariner in the Postmodern Age” (in Peter Lang 2007), il saggio sulle strategie retoriche della lettura (Atti del XII Convegno AIA) e vari saggi di riflessione su tematiche teoriche linguistico-letterarie. 

La ricca e diversificata produzione della candidata non comprende purtroppo una monografia, essenziale per comprovare la raggiunta maturità critica e scientifica.

 

Giudizio del  Prof.   VITO CAVONE:

 

            La prof. Isenberg si occupa di Shakespeare e la Cultura Rinascimentale, ambito in cui dà il meglio di sé in saggi  che si occupano soprattutto di personaggi femminili del teatro shakespeariano.

L’altro settore in cui si situa un gruppo (una decina) di saggi è quello che si occupa del rapporto tra testo letterario e teatro in musica (balletto), in una gamma che va dalla recensione alla presentazione alla introduzione dello spettacolo.

Un altro piccolo gruppo (tre saggi) propone esperimenti in ciò che l’autrice chiama “intermedial criticism”.

A parte si pongono i lavori sul carteggio della giovane anglo-italiana Giustiniana Wynne con Andrea Memmo, tra cui il volume di curatela Caro Memmo. (ecc.).

Manca una monografia che permetta una più completa valutazione della candidata.

 

Giudizio collegiale:

 

Caratterizzata da un ben definito percorso di ricerca, la produzione scientifica di Nancy Beth Isenberg presenta una linea di sviluppo che privilegia, con buoni risultati, Shakespeare e la cultura rinascimentale, approfondita anche tenendo conto del rapporto fra la letteratura e le altre arti (musica, danza, ecc.). Dopo l’esordio con alcuni contributi che non rientrano nel raggruppamento scientifico-disciplinare della presente valutazione comparativa (Niccolò Michelozzi, 1982, 1985), a partire dagli anni novanta la candidata comincia a produrre una serie di interventi pubblicati in Italia e all’estero che, per quanto non abbiano condotto alla scrittura di una monografia, testimoniano del suo vivo interesse per il teatro elisabettiano. I saggi apparsi nei volumi pubblicati dal Teatro dell’Opera di Roma risultano interessanti nella loro indagine del passaggio dal testo al balletto. In particolare, si distingue il saggio “Romeo e Giulietta di William Shakespeare e l’arte della danza” (1995) in cui si presenta e approfondisce la coreografia di John Cranko su musica di Prokof’ev; lo stesso saggio rivisitato appare in inglese nel volume Shifting the Scene: Shakespeare in European Culture (2004), a cura di Balz Engler e Ladina Bezzola. L’interesse sull’identificazione di genere si manifesta coerentemente nel nucleo di saggi quali “Giulietta, il boy actor e l’identità di genere”, contenuto in La posa eroica di Ofelia (2003), curatela della candidata con Viola Papetti, in cui Isenberg si interroga sulla complessità del personaggio di Giulietta e sulla frizione tra il suo profilo e il boy-actor che lo interpreta. Sempre connessi con l’indagine sulle figure femminili sono il lungo e informato saggio “Encomio e vituperio: un secolo e mezzo di scritti inglesi sulla donna, 1484-1640”, e gli originali lavori su Giustiniana Wynne, che da anni costituisce motivo di riflessione per la sua ricerca. Fra le pubblicazioni sul tema, si apprezza la ben introdotta e documentata curatela del volume Caro Memmo, mon cher frère. Seduzioni epistolari di una giovane angloveneziana in viaggio per l’Europa nel tempo di Casanova (2008 ma a stampa nel 2010). Pur trattandosi di un carteggio, il lavoro mette in evidenza un’indiscussa preparazione sul tema nonché una dettagliata conoscenza dei contesti epistemici.

La candidata è una studiosa seria e attiva che deve tuttavia misurarsi con la monografia per dare prova di avere raggiunto la piena maturità.

 

 

Candidata CARMELA MARIA LAUDANDO

 

Giudizi individuali:

 

Giudizio del Prof. FRANCESCO MARRONI:

 

Nella monografia Parody, Paratext, Palimpsest. A Study of Intertextual Strategies in the Writings of Laurence Sterne (1995), Carmela Maria Laudando  rivela ottima preparazione e insieme solidità metodologica nell’analisi dei processi testuali e paratestuali. Dal punto di vista dell’intertestualità, la candidata mostra, inoltre, di conoscere molto bene i meccanismi che presiedono alla scrittura sterniana di cui analizza in modo accurato gli aspetti parodici e le implicazioni semantico-strutturali propri dell’ossessione incipitaria. Prima dello studio monografico su Sterne, vanno segnalati alcuni contributi che, in parte, possono essere considerati di preparazione e verifica di una serie di ipotesi intorno all’opera sterniana. Di particolare interesse gli articoli “L’avventura eccentrica di Yorick nel Tristram Shandy” (1989) e “Giochi dialogici del Tristram Shandy” (1990), nei quali, pur con qualche ingenuità metodologica, già appare evidente l’intelligenza critica e l’attenzione per gli elementi narratologici del testo. A dimostrazione della coerenza dell’itinerario di ricerca, va ricordata l’edizione italiana di The Analysis of Beauty di William Hogarth (2001) che Laudando ha curato in modo competente, approntando una “Appendice biobibliografica” nonché un apparato di note sempre molto precise e puntuali.  Merita anche una menzione l’edizione italiana di A Modest Proposal di Swift, apparsa nel 2007, che si avvale di un’introduzione ricca di stimolanti osservazioni.

            La candidata ha scritto un volumetto, Le soglie della scrittura (1999), che, articolato in due parti, si occupa di Virginia Woolf (“La scrittura ‘anfibia’ di Between the Acts”) e di Toni Morrison (“La scrittura poliritmica di Jazz”) senza raggiungere risultati critici soddisfacenti. Più convincenti sembrano i lavori in cui all’esplorazione della corporeità fa riscontro l’approfondimento del grottesco e del mostruoso. Si vedano i saggi “Luoghi del difforme nel Medioevo” (2002), l’introduzione all’antologia di racconti Le tracce del mostro nella tradizione britannica tardomedievale (2002) e “ ‘Unsettled Islands’ and ‘Delicate Grotesque’” (2007). Oltre ad alcuni interessanti lavori sulla drammaturgia shakespeariana (Hamlet e Coriolanus), la candidata presenta anche un saggio dedicato al Dickens di The Mystery of Edwin Drood, che, per quanto ovvio nel suo sviluppo e nella sua conclusione, conferma l’ampiezza dei suoi interessi.

            Seria, rigorosa e impegnata, la candidata, dopo la monografia su Sterne del 1995, ha prodotto solamente lavori  di breve respiro, pur se ben scritti e ben argomentati. Per questo si auspica che, sulla linea di una ricerca che si è già rivelata produttiva, possa pervenire a uno studio monografico che, dimostrando il superamento di una certa esuberanza del suo approccio insieme a un maggiore controllo del lavoro critico,  confermi la sua  maturità di studiosa.    

 

Giudizio della Prof. MARIANGELA TEMPERA:

 

Laureata presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli nel 1989, CARMELA MARIA LAUDANDO ha conseguito il PhD presso l’Università di Manchester ed è Professore Associato di Letteratura Inglese presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli dal 2005. Ha svolto una costante attività didattica nel settore L-LIN 10. E’ Presidente del Collegio di Area Didattica. E’ stata coordinatore e membro di Unità Locale in progetti di ricerca PRIN.

Ha pubblicato nel 1995 la sua tesi di dottorato su Sterne (Parody,Paratext, Palimpsest), un lavoro interessante e ben documentato che rappresenta a tutt’oggi il suo più completo contributo all’anglistica e che ha costituito la base per una serie di saggi successivi su Hogarth, Sterne e Swift. Il resto della sua produzione abbraccia tutto l’arco della letteratura inglese dal Medioevo, con diversi studi sul mostruoso), al Rinascimento (con, tra gli altri, un interessante saggio su “Storia e memoria in Coriolanus”), dall’Ottocento (“Sulle tracce surreali di Londra in Edwin Drood”), al Novecento (due saggi su V. Woolf e T. Morrison pubblicati come volumetto: Le soglie della scrittura, 1999), con un’incursione nel Postcoloniale: “ ‘I luoghi della cultura’: il modello postcoloniale di Homi Bhabha”). Inevitabilmente, la varietà di interessi va talvolta a scapito dell’approfondimento degli autori (scelti fra i maggiori di ogni secolo) a cui la candidata ha dedicato la sua attenzione.

I lavori di Carmela Maria Laudando attestano una buona padronanza degli strumenti critici da parte di una studiosa che non ha ancora dato piena conferma delle qualità dimostrate nella sua prima monografia.

 

Giudizio della  Prof.  ANNAMARIA SPORTELLI LIPPOLIS:

 

La candidata Carmela Maria Laudando è Professore Associato di  Letteratura Inglese presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” dal 2001. Presso la stessa  sede ella era entrata nel ruolo di Ricercatore nel 1997, dopo aver conseguito  il titolo di PhD presso l’Università di Manchester nel 1994. Ha svolto attività didattica e di ricerca, così come si evince dai suoi numerosi incarichi di insegnamento e dalla sua partecipazione, come membro dell’unità locale a  gruppi di ricerca di interesse nazionale PRIN 1999 e PRIN 2003.

La Prof.ssa Laudando presenta il numero complessivo delle sue pubblicazioni prodotte con continuità, dall’inizio della sua carriera nel 1988 al 2007, tutte congruenti con il settore scientifico disciplinare per cui la candidata concorre. Ella attraversa più ambiti di indagine fra cui si segnala il nucleo relativo alla letteratura e alla cultura del Settecento inglese, quale lo studio del 1995, dal titolo Parody, paratext, palimpsest. A Study of intertextual Strategies in the Writings of Laurence Sterne, che articola prospettive elaborate per la tesi di dottorato secondo i parametri offerti dalla pragmatica, e più in generale dalla narratologia così come proposta da Genette, del cui enunciato teorico dà conto e visibilità il titolo stesso del volume. In seguito  la candidata si concentra sulla ipotesi del rapporto intertestuale fra Tristram Shandy e  A Tale of a Tub di Swift e ne esplora compiutamente le intersezioni e le evidenze dirette ed indirette. Di differente livello e minore per caratura e per metodo oltre che per modalità di scrittura, il volumetto dal titolo Le soglie della scrittura. Saggio su Between the Acts di Virginia Woolf e Jazz di Toni Morrison del 1999.

Si segnala inoltre la traduzione e cura di L’analisi della Bellezza di William Hogarth, lavoro accurato  e denso di cui dà testimonianza il voluminoso apparato di note che contribuiscono a immettere il testo di Hogarth all’interno di una strategia che indaga, insieme alle modalità di rappresentazione della Londra del tempo, le possibilità di analisi e di creazione di nuove categorie estetiche. Tale studio ha dato vita ad altri interventi in forma di saggio e articolo e successivamente,  all’antologia di racconti  tradotti con testo a fronte e introduzione dal titolo Le tracce del mostro nella tradizione britannica tardomedievale. La candidata si è inoltre occupata in maniera non continuativa ma rilevante e perspicua di Shakespeare  e del teatro elisabettiano  (Coriolanus  e The Tempest). La sua produzione scientifica che presenta una notevole maturazione con le ultime pubblicazioni, va completata con studi monografici  più recenti.

 

Giudizio della  Prof.  DANIELA GUARDAMAGNA:

 

La candidata presenta due monografie, una succinta ed interessante pur nella sua brevità, l’altra, il volume su Sterne, decisamente ottima.

Nel primo caso (Le soglie della scrittura, Napoli 1999), Laudando indaga sui rapporti lettura-scrittura-lettura critica nell’opera di Woolf e Morrison, con fascinose citazioni da Duras (che aprono sia l’introduzione sia il primo capitolo della parte dedicata a Morrison) nella prospettiva di una indagine degli spazi liminali e con l’utile supporto delle teorizzazioni di Genette (soprattutto Seuils) e Derrida.

Il secondo e più ampio volume, Parody, Paratext, Palimpsest. A Study of Intertextual Strategies in the Writings of Laurence Sterne, Napoli 1999, derivato dalla tesi di dottorato discussa all’Università di Manchester, è un ottimo studio delle strategie retoriche e i paratesti di Sterne, confrontati nei primi due capitoli con quelli swiftiani nella Tale of a Tub, poi considerando l’omaggio sterniano a Rabelais e procedendo a indagare le strategie di scrittura soprattutto del Tristram Shandy, ma anche del Sentimental Journey, anche collegandole – nel IV capitolo – con l’opera di Hogarth.

Solido e provvisto di un profondo e consistente sistema di riferimento critico, dai testi specialistici dedicati agli autori in esame alle formulazioni teoriche di Genette, Said, Derrida, Steiner e altri, questo testo definisce Laudando come una studiosa seria e promettente che sembra avviata alla piena maturità.

Altre pubblicazioni presentate sono quattro curatele. A Le origini e le forme del romanzo inglese. Teorie a confronto (con Daniela De Filippis, Napoli 2005), volume ricco di saggi a firma illustre, da Lombardo a Ferrara, Laudando contribuisce con una postfazione (“Al crocevia di fertili negoziazioni”) che parte da Hogarth arrivando a un’analisi attenta e consapevole delle teorie sulla nascita del romanzo, da McKeon a Barney fino alle riflessioni di Said.

Due curatele sono dedicate alla tradizione teratologica nella letteratura inglese: il volume a cura di Laura Di Michele La politica e la poetica del mostruoso (Liguori 2002), a cui la candidata contribuisce con la curatela della prima parte che, se si eccettua l’intrusione del Kurtz conradiano nell’ultimo saggio, è dedicata al mostruoso fra il Medioevo e il Settecento, con  una sua introduzione (che la candidata non presenta per la valutazione) e un saggio sui “Luoghi del difforme nel Medioevo”. L’altro volume teratologico è Le tracce del mostro nella tradizione britannica tardomedievale (Napoli, E.S.I. 2002), antologia di racconti con introduzione, traduzione e note della candidata.

L’ultima curatela presentata è William Hogarth. L’analisi della Bellezza (Milano, Aesthetica Edizioni 1999, 2001), elegante volumetto che contiene la traduzione del saggio teorico di Hogarth e una ricca appendice bio-bibliografica.

La candidata presenta anche numerosi saggi e recensioni. Fra i saggi, alcuni replicano o ampliano la ricerca effettuata nei testi principali presentati, con scritti su Sterne, Hogarth,  Swift (si noti anche la curatela della Modest Proposal, 2007), i ‘delicate monsters’ da Mandeville a Shakespeare, il frammento in Virginia Woolf.

Si aggiungano a questi alcuni scritti in ambito ottocentesco, ad esempio quello sulla Londra di Edwin Drood in Londra e le altre, Liguori 2002; alcune pagine di riflessione beckettiana (in “Il gioco delle pose in Hogarth, Sterne e Beckett” e in “Deluge of Fragments”, Amsterdam-Atlanta, Rodopi 1996; Beckett è citato anche nel volume sterniano), e soprattutto alcune riflessioni shakespeariane non occasionali (sulla Tempest, anche se ancora con la mediazione di Hogarth, nel volume Shakespeare. Una “Tempesta” dopo l’altra, Liguori 2005; sul Coriolanus – “Storia  e memoria in Coriolanus”, Liguori 2001, e su Hamlet, “La doppia messinscena della violenza in Hamlet”, Annali-Anglica 1995).

Per una piena conferma della maturità della candidata, si attende un nuovo studio di impegno comparabile all’ottimo volume sterniano.

 


Giudizio del  Prof.   VITO CAVONE:

 

La prof. Laudando ha pubblicato due monografie: Parody, Paratext, Palimpsest (1995), studio sulle strategie intertestuali di Lawrence Sterne, e Le soglie della scrittura. Saggio su Between the Acts di Virginia Woolf  (1999).

A parte alcune curatele e traduzioni (tra cui spicca la traduzione di William Hogarth), la produzione di Laudando si focalizza sul Settecento e in particolare sullo studio del grottesco e del mostruoso, con alcuni interventi shakespeariani su Hamlet e Coriolanus, ed altri teorici sul romanzo.

            La produzione della candidata rivela una padronanza degli strumenti ermeneutici, che va però applicata con maggiore continuità.

 

 

Giudizio collegiale:

 

La candidata presenta una monografia, Parody, Paratext, Palimpsest. A Study of Intertextual Strategies in the Writings of Laurence Sterne (1995), derivata dalla tesi di dottorato discussa all’Università di Manchester. Si tratta di un ottimo studio delle strategie retoriche e dei paratesti di Sterne, confrontati nei primi due capitoli con quelli swiftiani del Tale of a Tub; dopo l’omaggio sterniano a Rabelais, procede a indagare le strategie di scrittura soprattutto del Tristram Shandy, ma anche del Sentimental Journey, collegandole – nel IV capitolo – con l’opera di Hogarth. È un lavoro solido e arricchito da un profondo e consistente sistema di riferimento critico che va dai testi specialistici dedicati agli autori in esame alle formulazioni teoriche di Genette, Said, Derrida, Steiner e altri. La candidata ha poi scritto un volumetto, Le soglie della scrittura (1999), che, articolato in due parti, si occupa di Virginia Woolf (“La scrittura ‘anfibia’ di Between the Acts”) e di Toni Morrison (“La scrittura poliritmica di Jazz”) senza raggiungere risultati critici particolarmente soddisfacenti. Più convincenti sembrano i lavori in cui all’esplorazione della corporeità fa riscontro l’approfondimento del grottesco e del mostruoso. Si vedano i saggi “Luoghi del difforme nel Medioevo” (2002), l’introduzione all’antologia di racconti Le tracce del mostro nella tradizione britannica tardomedievale (2002) e “ ‘Unsettled Islands’ and ‘Delicate Grotesque’” (2007). Oltre ad alcuni interessanti lavori sulla drammaturgia shakespeariana (Hamlet, Coriolanus e The Tempest), la candidata presenta anche un saggio dedicato al Dickens di The Mystery of Edwin Drood, che, per quanto non particolarmente innovativo nel suo sviluppo e nella sua conclusione, conferma l’ampiezza dei suoi interessi. Si segnala inoltre la traduzione e cura di L’analisi della Bellezza di William Hogarth, lavoro accurato e denso di cui dà testimonianza il voluminoso apparato di note che contribuiscono a immettere il testo di Hogarth all’interno di una strategia che indaga, insieme alle modalità di rappresentazione della Londra del tempo, le possibilità di analisi e di creazione di nuove categorie estetiche. Seria, rigorosa e impegnata, la candidata, dopo la monografia su Sterne del 1995, ha prodotto solamente lavori  di breve respiro, pur se ben scritti e ben argomentati.

Per questo si auspica che, sulla linea di una ricerca che si è già rivelata produttiva, possa pervenire a un ulteriore studio monografico che confermi la sua maturità di studiosa.    

 

 

Candidato LEO MARCHETTI

 

Giudizi individuali:

 

Giudizio del Prof. FRANCESCO MARRONI:

 

Versatile, culturalmente molto preparato, capace di spaziare dal Medioevo (Beowulf) alle tematiche traduttologiche, dai drammi di Shakespeare alla fantascienza classica, Leo Marchetti è uno studioso che sa mettere in campo e sviscerare sapientemente problematiche in cui la dialettica testo/contesto gioca un ruolo non meno importante delle dinamiche dei sistemi culturali e dell’opposizione ortodossia/eterodossia in una visione della letteratura inglese che rimane sempre e in ogni caso un territorio ricco di stimoli e suggestioni. Di qui la sua monografia Eliot (1983) che, apparsa in una collana di ampia divulgazione (“Il Castoro”), è in realtà molto più di un’opera di presentazione dell’opera eliotana, visto che in essa è tratteggiata un’immagine del poeta controcorrente, stimolante e problematicamente complessa nelle sue ipotesi politiche. All’opera eliotiana il candidato dedica anche altri contributi. In particolare, saggi su Four Quartets (1988), Criterion (1993), The Idea of a Christian Society (2001) e “Burnt Norton” (2007). Sulla stessa linea di ricerca s’inscrivono anche un lavoro su Virginia Woolf (1992) e soprattutto gli studi su James Joyce. Infatti, oltre ad aver curato il volume Topografie per Joyce (2004), Marchetti è autore del denso saggio “Joyce e Dante” (2006) in cui viene proposto un raffinato parallelismo fra Joyce e Dante alla luce di un comune sentire e di una comune risposta al tema della politica e della nazione.

            Anatomie dell’altro. L’immaginario teratologico nella letteratura inglese (2004) raccoglie una serie di illuminanti saggi in riviste e articoli apparsi in atti di convegni. Il volume, costruito secondo la linea teratologica, esplora con intelligenza i topoi dell’alterità/mostruosità e, al tempo stesso, testimonia dell’ampiezza delle conoscenze e delle capacità critiche del candidato: dopo un primo capitolo incentrato sul mostro da Beowulf a Poe, gli altri capitoli affrontano autori diversi (Joseph Hall, Shakespeare, Swift, Mary Shelley, H. G. Wells, R. L. Stevenson, John Wyndham, Orwell e altri) secondo un’interpretazione volta a dimostrare la fenomenologia della trasgressione attualizzata dagli autori presi in considerazione.

            Un’altra area di interesse è  costituita dalla letteratura vittoriana, che ha visto il candidato impegnato con articoli e contributi su temi diversi: Tess di Thomas Hardy (1995),  l’immaginario antivittoriano di Carlyle ed Emerson (1996), Dracula di Bram Stoker (2006), Poe e Conan Doyle (2006).  Ai  fini della presente valutazione comparativa non possono essere presi in considerazione  i volumi Edgar Allan Poe: la scrittura eterogenea (1988)  e Il tempo e il fuoco (1999) sui primi romanzi di Kurt Vonnegut Jr.

            Il candidato appare impegnato su molti versanti e presenta una serie di lavori – spesso con un fitto intreccio fra letteratura inglese e letteratura nordamericana – che sono il risultato di una riflessione fondata su solide basi culturali. I suoi lavori, anche sul piano della estensione, sono espressione della raggiunta maturità. Per questo, si ritiene di esprimere un giudizio positivo sulla produzione scientifica di Leo Marchetti.

 

Giudizio della Prof. MARIANGELA TEMPERA:

 

Laureato nel 1973, è professore associato di Letteratura Inglese presso l’Università di Chieti-Pescara dal 1998. Ha partecipato a progetti di ricerca CNR e Miur. Ha presieduto la Commissione d’ Ateneo per la valutazione della ricerca.

Nella sua trentennale attività di ricerca, si è dedicato principalmente alla Letteratura Anglo-Americana con saggi e monografie su T.S. Eliot, Poe, Emerson. Nel campo della letteratura inglese, si è occupato del gotico (cura e introduzione a due antologie), della letteratura vittoriana (con, tra gli altri, un interessante saggio su Thomas Hardy: “ Tess e l’ineluttabile modalità dell’essere”, 1995) e del primo Novecento. (Topografie per Joyce, curatela e saggio, 2004). Altri saggi sono stati rielaborati in Apocalisse: Percorsi della letteratura inglese e americana del Novecento (1995) che esplora l’importanza del tema dell’ apocalisse nella letteratura del Novecento. Il suo più recente contributo in forma di volume, Anatomie dell’altro (2004), indaga il tema della spettacolarizzazione del diverso nella letteratura inglese da Beowulf a Wyndham. In Anatomie, l’integrazione di lavori già pubblicati in un compiuto discorso monografico è più riuscita che in Apocalisse. Entrambi i volumi sono sorretti da una solida cultura letteraria e filosofica.

Dall’insieme dei suoi lavori, appare evidente che la specializzazione di Leo Marchetti è in Letteratura Anglo-Americana, settore disciplinare a cui ha riservato i suoi contributi più originali.

 

Giudizio della  Prof.  ANNAMARIA SPORTELLI LIPPOLIS:

 

Il candidato Leo Marchetti, Professore Associato di Lingua e Letteratura Inglese presso la Facoltà di Lingue e letterature Straniere dell’Università degli studi di  Chieti-Pescara dal 1998  ha svolto una intensa attività didattica  nei Corsi di laurea quadriennali, triennali e specialistici della sua sede e presso la Scuola di specializzazione SSIS. Ha inoltre svolto attività scientifica e di ricerca, partecipando a progetti nazionali  (COFIN 1996) ed internazionali. Numerosi e qualificati i suoi interventi a convegni con presentazione di relazione.

L’attività scientifica  del candidato si caratterizza per continuità temporale e per ampiezza di interessi, tratto che si evince dalla copiosa produzione presentata. Le sue competenze tuttavia sono essenzialmente orientate nel settore scientifico-disciplinare L-LIN11, come segnalano i volumi  Edgar Allan Poe: la scrittura eterogenea,  Ralph Waldo Emerson e Il tempo e il fuoco. I primi romanzi di Kurt Vonnegut jr,  di ambito americanista.

 All’ambito più specificatamente congruente con il settore scientifico disciplinare per cui concorre il Prof. Marchetti contribuisce con due volumi. Per quanto concerne il primo dal titolo Apocalissi. Percorsi della letteratura inglese e americana del Novecento, la trattazione del tema dell’apocalisse si staglia su un solido quadro teorico-critico di riferimenti a testi come The Sense of an Ending (1966) di Kermode, ll senso del futuro (1970) di Pagetti (sulla fantascienza americana), New Worlds for Old (1974) sull’immaginazione apocalittica nella narrativa fantascientifica. Il volume analizza vari percorsi della narrativa inglese e americana dai Four Quartets di T.S. Eliot, a 1984 di Orwell, dai racconti di Lovecraft, a Night and Day di V. Woolf, alla narrativa di John Wyndham.

Nel secondo volume del 2004 dal titolo Anatomie dell’altro, egli indaga l’alterità come mostruosità attraverso un amplissimo arco temporale della letteratura inglese, partendo da Beowulf, non tralasciando le mostuisità di Caliban in The Tempest, fino ai Gulliver’s Travels, il mostro senza nome di Victor Frankenstein, i mondi mostruosi di Wells e, nell’ambito della letteratura fantastica inglese del novecento, testi come The Chrysalids di John Wyndham. Il testo ricostruisce vari percorsi illustrando progressivamente come il mostro acquisisca progressivamente una non meglio definita disarmonia che chiama in causa la malinconia e la follia  sintomi di alienazione.

 Il candidato ha inoltre svolto una proficua attività di coordinamento che viene segnalata da curatele con introduzione e/o saggio, quali  Topografie per Joyce, Poeti traduttori esteti e La musica delle stagioni. Nella introduzione a Amori e Rovine di M. Sette, la trattazione di alcuni racconti del genere gotico è occasione per indagare  le specifiche relazioni che ciascuno di essi intrattiene con le convenzioni del genere e con i topoi del canone gotico.  Si segnalano  i saggi sulla traduzione letteraria, “Francesco Contaldi traduttore di S.T. Coleridge” in cui l’analisi parte da una rapida contestualizzazione del dibattito sulla traduzione nel secondo Ottocento e prosegue attraverso una lettura contrastiva delle scelte traduttive di Contaldi e di Enrico Nencioni del 1889, e “Alcune traduzioni novecentesche della Rime of the Ancient Mariner” , analisi contrastiva di alcune traduzioni - Emilio Cecchi, Roberto Ripari, Maria Luisa Cervini - di Coleridge che procede attraverso una indagine filologica e opportunamente apre ampie parentesi sulle ‘ideologie’ e sul contesto culturale che sottende le scelte traduttive. Nel complesso la produzione scientifica del candidato risulta ampiamente orientata verso altro settore scientifico disciplinare.

 

Giudizio della  Prof.  DANIELA GUARDAMAGNA:

 

Leo Marchetti presenta una produzione assai vasta, ma con volumi e articoli dedicati ai classici della letteratura americana (Poe, Emerson) in misura prevalente rispetto ai testi che si occupano di letteratura inglese. Alcuni dei testi strettamente assegnabili al campo dell’americanistica possono a mio avviso essere considerati anche per il settore scientifico-disciplinare in oggetto: certamente ad entrambe le culture appartiene T.S. Eliot, e mi pare lecito inscrivere nella tradizione letteraria inglese le importanti distopie di Vonnegut, che Marchetti confronta con testi fondamentali di questa tradizione, da Swift a Huxley a Orwell.

La produzione che viene presa in esame in questa sede comprende quindi vari testi, a partire dal volumetto del 1983 dedicato a tutta l’opera di Eliot (“Castoro”, La Nuova Italia), un libretto ancora assai leggibile e utile per una divulgazione colta, anche se non mancano valutazioni sconcertanti che spesso il Marchetti si concede, in questo caso la definizione di Eliot come “il Balzac del Novecento” (p. 17).        

Il testo su Vonnegut La narrativa di Kurt Vonnegut Jr. è presentato nella sua riedizione successiva, Il tempo e il fuoco. I primi romanzi di Kurt Vonnegut Jr., che - come si dichiara nella postfazione - è una ristampa edita nel 1999 di La narrativa di Kurt Vonnegut Jr. (Pescara 1980), con l’aggiunta appunto della  postfazione “Centomila sigarette dopo” in cui si discutono brevemente le opere di Vonnegut successive all’uscita del volume. Come si accennava nella premessa, i testi principali di Vonnegut, in particolare Player Piano e The Sirens of Titan, sono confrontati utilmente con testi appartenenti al genere della distopia (che Marchetti definisce purtroppo “distopy” anziché dystopia), in particolare le opere di Huxley e Orwell, e con i Travels swiftiani.

Ricorderemo poi alcune raccolte di saggi:

  • Apocalissi (Chieti 1995) contiene scritti presentati anche individualmente dal candidato, su Eliot, Orwell, Lovecraft, John Wyndham, Virginia Woolf, Ferlinghetti e vari testi utopico-distopici (dove sconcertante è la sbrigativa liquidazione del romanzo huxleyano Island come testo “preso un po’ troppo sul serio dai critici” in cui il buddismo è “ridotto a gioco salottiero mescolato alla teosofia”, pp. 169-70).
  • Anatomie dell’altro. L’immaginario teratologico nella letteratura inglese (Napoli, Liguori 2004) contiene saggi dedicati da Marchetti a vari ‘mostri’, dal Grendel del Beowulf al Riccardo III shakespeariano al Frankenstein di Shelley ai mostri dei “decadenti gotici”, cioè i “gotici late Victorians”, come vengono definiti riprendendo la definizione di Punter – Wells, Stevenson, Bram Stoker e così via –  fino alla Chrisalis e al Kraken di Wyndham.  Da notare il saggio sul Mundus alter et idem di Joseph Hall, che – pur a tratti semplificando il dibattito sull’utopia come genere letterario – contiene alcune pagine interessanti sugli ‘scoronamenti’ rabelaisiani rispetto all’Utopia di More, sull’utopia di Gonzalo e su quella di Caliban nella Tempest shakespeariana.
  • A La musica delle stagioni. Fenomenologia del tempo nelle letterature inglese e italiana (Liguori 2007) il candidato contribuisce, oltre che con una breve prefazione, con un saggio sul Burnt Norton eliotiano; a Topografie per Joyce (Aracne 2004) con un’introduzione ricca di dati bibliografici, utili anche se inevitabilmente non esaustivi, e con il bel saggio “Bloom nel labirinto del mondo”.
  • A temi gotici è dedicata infine la raccolta di racconti anonimi scritti tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, dal titolo Danza macabra, con introduzione e traduzione (Solfanelli 1991).

Per quanto riguarda i saggi presentati, alcuni sono dedicati ancora a temi gotici: il saggio “Il treno e l’astronave”, da Dickens a Bram Stoker e Wells (Aracne 2006) e l’introduzione al volume curato da Miriam Sette (Amori e rovine, Pescara 2000). Ci sono poi vari saggi dedicati ad autori otto e novecenteschi; oltre a quelli raccolti in volume e a qualche saggio su autori trattati nelle monografie

(vedi ad esempio i saggi su Eliot) ci sono scritti su Jane Eyre (RSV 1999), sulla Tess di Thomas Hardy (Pescara 1995), Carlyle e Emerson (RSV 1996), Yeats (Pescara 1998), e tre saggi sulle traduzioni italiane di Colerigde, in particolare quelle dell’abruzzese Contaldi.

All’esterno dei parametri temporali indicati sono il ricco e articolato saggio su Thomson (Venezia 2007), quello su Joyce e Dante (Liguori 2006), quello su Doctor Faustus marloviano (Pescara 2004) e quello sulle versioni cinematografiche del Richard III shakespeariano (Bulzoni 2002).

Pur apprezzando la poliedricità degli approcci, l’impegno profuso e la sensibilità dello studioso, è inevitabile rilevare che nell’ambito dell’anglistica la piena maturità scientifica non è raggiunta.

 

Giudizio del  Prof.   VITO CAVONE:

 

Oltre ad alcuni volumi su autori anglo-americani, che comunque istituiscono paralleli con la cultura inglese, le monografie del prof. Marchetti sono:  Eliot (1983) e Anatomie dell’altro (2004), sul tema del mostro dal medioevo alla modernità, e il volume Apocalissi 1995) che spazia tra letteratura inglese e americana.

 I due volumi di curatela (Topografie di Joyce, 2004; La musica delle stagioni, 2008), contengono del curatore puntuali introduzioni/prefazioni e un saggio ciascuno.

La produzione saggistica, vasta e variegata, presenta un prevalente interesse per la letteratura gotica, come dimostra il volume di racconti anonimi a cura del Marchetti Anonimi gotici, Danza macabra (1991) e per la letteratura fantascientifica, evidenziata dai due volumi su Vonnegut e la tradizione inglese del genere.

             La produzione scientifica del candidato nella sua grande versatilità di interessi e molteplicità di metodologie ermeneutiche testimonia  una raggiunta pienezza di maturità critica.

 

 

Giudizio collegiale:

 

Nella sua trentennale attività di ricerca, il candidato si è dedicato principalmente alla Letteratura Anglo-Americana con saggi e monografie su T.S. Eliot, Poe, Emerson. Nel campo della letteratura inglese, si è occupato del gotico (cura e introduzione a due antologie), della letteratura vittoriana e del primo Novecento.  La produzione che viene presa in esame in questa sede comprende vari testi, a partire dal volumetto del 1983 dedicato a tutta l’opera di Eliot (“Il Castoro”), un lavoro ancora assai leggibile e utile per una divulgazione colta. Sulla linea della ricerca teratologica, si segnalano Anatomie dell’altro. L’immaginario teratologico nella letteratura inglese (2004) con saggi dedicati a vari ‘mostri’, dal Grendel del Beowulf al Riccardo III shakespeariano al Frankenstein di Shelley ai mostri dei “decadenti gotici”, Wells, Stevenson, Bram Stoker e così via, fino alla Chrisalis e al Kraken di Wyndham. Altri saggi sono stati rielaborati in Apocalisse: Percorsi della letteratura inglese e americana del Novecento (1995) che esplora l’importanza dell’immaginario apocalittico nella letteratura del Novecento. Il più recente contributo, Anatomie dell’altro (2004), indaga il tema della spettacolarizzazione del diverso nella letteratura inglese da Beowulf a Wyndham. Da notare il capitolo sul Mundus alter et idem di Joseph Hall, che – pur a tratti semplificando il dibattito sull’utopia come genere letterario – contiene alcune pagine interessanti sugli ‘scoronamenti’ rabelaisiani rispetto all’Utopia di More, sull’utopia di Gonzalo e su quella di Caliban nella Tempest shakespeariana. A  La musica delle stagioni. Fenomenologia del tempo nelle letterature inglese e italiana (2007) il candidato contribuisce, oltre che con una breve prefazione, con un saggio sul Burnt Norton eliotiano; a Topografie per Joyce (Aracne 2004) con un’introduzione ricca di dati bibliografici, utili anche se inevitabilmente non esaustivi, e con il bel saggio “Bloom nel labirinto del mondo”. Infine, a temi gotici è dedicata la raccolta di racconti anonimi scritti tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, dal titolo Danza macabra, con introduzione e traduzione (1991).

Pur apprezzando la poliedricità, l’ampiezza di interessi, l’impegno profuso e la sensibilità dello studioso, bisogna rilevare che, nell’ambito dell’anglistica, la produzione non attinge a una completa e convincente scientificità.

 

        La seduta è tolta alle ore 17.00 e si riconvoca per lo stesso giorno, alle ore 17.30.

 

        Letto, approvato e sottoscritto seduta stante.

 

 

La Commissione

 

Il Presidente 

Prof. Francesco MARRONI______________________________________

                       

I  Commissari 

 

Prof. Mariangela TEMPERA ______________________________________

Prof. Anna Maria SPORTELLI LIPPOLIS____________________________

Prof. Daniela GUARDAMAGNA __________________________________

Il  Segretario

Prof. Vito CAVONE____________________________________________